Dopo quattro giorni
Dopo aver passato quattro giorni e tre notti nel lettone con
Emma, ieri sera verso le cinque ho mollato il colpo e sono andata a fare la
spesa, nella speranza di trovare della buona birra da portarmi a casa in cui
annegare il passato.
Whole Foods è il nome del supermercato più vicino a casa
nostra. È anche uno dei negozi più cari del mondo, non c’è Cartier o Tiffany
che tenga: qui si accettano rate mensili per l’acquisto della carne rossa, e comprare
la verdura lo si può giustificare moralmente se si pensa che è un investimento
per il futuro dei tuoi figli, che crescono sani.
Il vantaggio di Whole Foods è che tutto quello che si
compra, dal basilico alla carta igienica, è biologico: del pollo abbiamo il
pedigrì, e sappiamo che ha passato la sua breve vita libero di andare di qua e
di là per l’aia, mangiando solo grano biologico e pensando a pensieri belli di
un futuro senza gabbie. Sappiamo anche che al momento della sua morte, avvenuta
a botte di carezze, qualche contadino sensibile ha versato una lacrima.
La gente che va da Whole Foods è tutta bellissima, perché
sono palle che i soldi non sono tutto nella vita: fanno e rendono anche belli.
Ieri sera era anche bello il tipo che dopo di me aspettava il suo turno per
pagare i suoi duecento dollari di latte e biscotti. I nostri sguardi si sono
brevemente incrociati, e lui mi ha anche sorriso, e non solo perché ho fatto
cadere un'infinita fila di tubetti burro cacao da dieci dollari a botta per terra, che ho
prontamente raccolto uno a uno temendo una sgridata dei dipendenti di Whole
Foods. Raccogliendo, mi cade però l’occhio sul passeggino (suo), per cui mollo il colpo
immediatamente.
Tocca a me: la cassiera, bella e strana, con il piercing e i
capelli arancioni, fa passare i fagiolini, il semolino (per gli gnocchi alla
romana che a casa piaccino solo a me), il latte, il formaggio. Si ferma alle
sei bottigliette di birra, il famoso six pack, e mi chiede l’ID.
Parentesi: negli Stati Uniti dell’America, se non si ha 21
anni non si può comprare nessuna bevanda alcoolica. Per dimostrare l’età, viene
richiesto di mostrare l’ID (carta d’identità, che qui è la patente). Chi non ce
l’ha, torna a casa a mani vuote. In teoria. Poi in realtà molti dei posti in cui vado
mi guardano in faccia e non mi chiedono nulla: li porto bene, i miei 45 anni,
ma non ne dimostro meno di 21 oramai da un decennio. Chiusa parentesi.
La guardo tra l’incazzato e il divertito e le dò la patente,
sentendomi di aver fatto la seconda figura di merda con il figo col passeggino.
Lo guardo, come per scusarmi. La cassiera mi fa:” È scaduta, mi spiace. Devo
chiamare il manager per dare l’cchei della vendita della birra”. Sento un tonfo: sono i miei
coglioni che cadono sul pavimento lavato con detersivo biologico. Va bene,
dico, con un sorriso finto venuto male. Il manager non arriva, perché all’ora di punta il suddetto manager, che
da manager è esperto nel capire l’età vera delle persone e ha il potere di
stabilire che sono più grande di una ventunenne e che la mia patente non è
falsa, non c’è. Anche perché se fosse falsa, penso tra me e me, mica la farei
scaduta, no?
Faccio una battuta del tipo: “Mi sembra di essere stata
beccata con le mani nel sacco a rubare...” e il figo dietro mi dice: “Don’t
worry”, come dire lo so che sei vecchia. Adesso lo odio, lui e il suo
passeggino di merda che per la terza volta mi è venuto sui piedi.
La cassiera aspetta, paziente. A questo punto ho la
sensazione che mi guardi con una punta d’odio. Se sapesse che fumo mi
caccerebbe dal supermercato, sono sicura. Mi sa di una che se gli assorbenti non sono biologici
le viene una crisi di nervi. Si capisce subito che non saremo mai amiche. Io,
ormai paonazza di nervi, dico fa niente, guardi, stasera bevo qualcosa d’altro.
Prendo e me ne vado.
Quello che sto per dire non è un’esagerazione: se fossi
andata in un negozio di armi, non avrebbero neanche potuto chiedermi la
patente, perché è contro la legge farlo, visto che avere un’arma è considerato
un diritto. E negli Stati in cui invece sono più severi, avrei dovuto
dimostrare di avere diciotto anni per uscire con una Colt in tasca. Non capisco,
davvero, la logica dietro a questa paura dell’alcool contrapposta alla non
chalance delle armi. Dopo vent’anni di America ancora rimango basita nel
pensare ai profondi controsensi che mi vengono imposti di seguire.
Me ne torno a casa, senza birra ma in compenso con un
giramento di palle insostenibile.
Malgrado tutto, penso, mi manca la mia Milano caotica ma simpatica.
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