8 marzo non mi freghi più
A dire il vero non avevo ancora deciso se andare o no in
sciopero: a casa mia molte delle cose che devono essere fatte, sono
suddivise fra me e Dan, e non mi sembrava avesse molto senso che lui tornasse
dall'ufficio con la spesa, pronto per far da mangiare, e trovasse i piatti
della colazione ancora nel lavandino.
Per cui, prima di scendere nel mio studio a lavorare, ho fatto le due o tre
cose di routine: i letti, messo a posto la cucina, la doccia. Alle 10, prima di
iniziare a scrivere, ho deciso di chiamare l'agenzia a cui avevo richiesto il
certificato di nascita di Emma per il passaporto italiano: mi hanno mandato
quello dei due che non mi serve (una storia lunga che non sto qui a raccontare). Mi faccio un altro caffé e telefono. La vocina
registrata mi annuncia che la mia telefonata è importante, ma che devo
aspettare. Me lo annuncia tra una musichetta e l'altra, per circa mezz'ora. A
quel punto non posso mettere giù, avendo già investito tutto quel tempo, mi dico un po' disorientata. Però
sentivo la mia pressione alzarsi. Tra un "Your call is important to
us" e l'altro, me la misuro e ovviamente è alle stelle. Inizio il mio esercizio di
respirazione che faccio prima di un attacco di panico, che funziona, anche se avrei preferito uno Xanax, ma li ho finiti due giorni fa. Sempre con 'sta vocina registrata che ormai odio, vado a fare
pipì: mestruazioni. Cazzo, una settimana prima della data prevista. In fondo ci sta, il giorno della donna. Cosa c'è di più femminile delle mestruazioni? Cerco il lato positivo nella vita anche lì, a volte.
Intanto la
mia telefonata è importante, ma sono 40 minuti che aspetto. Al ciquantreesimo
minuto mi sento un moto di rabbia dentro che spaccherei tutto, ma finalmente mi
rispondono. Spiego la situazione e mi dicono che trasferiscono la mia chiamata
all'ufficio anagrafe del comune di Manhattan. Aspetto, a questo punto piena di
speranza. Risponde una signora dopo qualche minuto. Rispiego. Capisce il problema
e mi sta per dire che mi aiuta a risolverlo, ma per sbaglio termina la
chiamata. È a questo punto che comincio a vedere rosso: l'istinto è di buttare
il telefono dalla finestra e, ridendo, picchiare a sangue il primo passante che vedo.
Ma l'esercizio di respirazione mi aiuta ancora una volta. Rifaccio il numero, riaspetto quaranta
minuti, rispiego la situazione, e trovo una risposta poco soddisfacente ma
almeno sincera.
È quasi mezzogiorno e non o ancora neanche acceso
il computer. Ho la pressione a mille e mi girano i coglioni. Ma scendo e scrivo
per un paio d'ore.
Poi arriva Luca, e con lui porto fuori Oscar, il
nostro cane quindicenne che non so cosa gli prenda comincia a correre come un
pazzo, a ansimare. Di solito non lo tengo al guinzaglio perché dove vuoi che
vada un cane così vecchio. Invece scappa. Non posso lasciare Luca da solo
perché altrimenti attraversa e si ammazza. Mi chiede di cantargli la stessa canzoncina
settemila volte e se smetto si incazza. Canto, lo mollo a casa e esco a cercare
Oscar, che trovo, stravolto. Penso: se adesso mi muore qui cosa faccio?
Arriva la terapista di Luca e mi siedo in sala a
leggere un libro che mi tocca leggere per il prossimo numero di Linus, una roba
tutta reazionaria che mi irrita profondamente. Verso le 17 mi ricordo di aver
dimenticato una cosa nel mio studio. Scendo di corsa, e dopo aver fatto
l'ultimo gradino, il mio piede è sott'acqua fino alla caviglia: si è rotto lo
scaldabagno, i tappeti galleggiano, l'acqua sgorga come alle cascate del
Niagara. In silenzio, piango. Trovo dove spegnere l'acqua e comincio a tirare
su il lago d'Iseo. Arriva Dan con fiori gialli e spesa. Comincia a preparare la
cena, ma alle 19:30 io devo uscire per andare a prendere Emma a roller derby, intanto
ritorna il cugino di Dan, che è qui per qualche giorno da San Francisco, e ha
giustamente fame e voglia di una doccia, che non può fare. Torno alle 20:30,
mangiamo.
Sono stravolta, ma mi bevo quattordici bicchierini di rosso e mi sento
meglio. Vado in sala e Oscar ha pisciato sul pavimento. Raccolgo, ignorando il magone e il mal di schiena. Poi scendo
a vedere che sia ancora asciutto: bagnatissimo, anche se meno di prima. Tiro una
bestemmia che anche il Papa d Roma mi dà ragione. Riasciugo. Sono tutti a
letto, tranne Luca che è iperagitato e continua ad alzarsi. Lo devo riportare a
letto trecento volte di fila. Mi avevano detto di non parlargli, di non
guardarlo negli occhi: di metterlo sotto le coperte e uscire dalla stanza. Ma alla
ventiquattresima volta perdo il controllo di me e tiro un ulro da Tarzan che smuove l'autismo che c'è in lui e si mette a letto da solo. Sono quasi le undici, mi apro una birra
sperando di collassare definitivamente, ma poi la butto via e vado a letto. Dan
russa come un orso. Con l'ultimo briciolo di dolcezza gli chiedo almeno di
muoversi, cazzo. Cosa che fa. Si gira e mi abbraccia.
Dormo.
L'anno prossimo per tutto il mese di marzo mi
metto in sciopero e a culo tutto il resto.
(foto, ovviamente, di Altan)
Giornatina leggera leggera e liscia....
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