Ci si abitua a tutto






Quando il mese scorso ero a Milano, ho portato mia mamma e mia zia a fare il terzo vaccino. Mentre aspettavo che finissero, mi sono seduta su una sedia a guardare quello che stava succedendo intorno a me. Se fossi di un altro mondo, e per la prima volta vedessi tutte le mascherine, le lunghe file per i vaccini, le persone anziane che aspettano pazientemente, penserei all’imminente fine del mondo. Milioni di morti in tutto il mondo per colpa di un virus che ha completamente cambiato la vita di noi umani qui, sulla Terra. Ha soffocato il nostro bisogno di un abbraccio, di coccole, di incontrarci e condividere la vita. Adesso si fa fatica a stare insieme, si ha sempre paura che possa costare la vita a noi o a qualcuno.  


Eppure, tutta questa follia si è in qualche modo normalizzata. Non ci stupiamo più nel vedere questo mondo completamente diverso, attraversato dalla paura. Ci sembra assolutamente normale aspettare per un terzo vaccino nella speranza di sopravvivere, normale non darci più la mano, normale non poter mostrare il nostro viso a nessuno. Mentre aspettavo mia mamma e mia zia e mi guardavo intorno, ho pensato al potere della mente, che riesce a vivere tranquillamente una situazione così drammatica, che riesce a trasformarla in una nuova normalità. 


Mi è captato spesso, quando racconto di avere un figlio autistico, che la gente mi dica che sono bravissima, seguito da un “ma come fai? Io non ce la farei mai!”. Ce la faccio non perché sono brava, non perché sono più forte degli altri. Ce la faccio perché per quanto la mia sembri una situazione insormontabile, ormai è la mia normalità. Ho passato i periodi dei perché io, dei non ce la farò mai, dei la mia vita è rovinata per sempre. Adesso fa parte della mia vita. Come il Covid. Ci si abitua a tutto, anche agli aspetti meno belli della vita. Il cervello è più duttile di noi, senza dubbio. 


Stamattina Luca è venuto a svegliarci verso le sei di mattina. Dopo averlo aiutato ad accendere il suo iPad, come sempre è andato nel mio studio. Dopo una mezz’oretta abbiamo sentito rumore di movimenti del suo corpo veloci e ritmici. Siamo corsi di là e Luca, coricato per terra, era nel mezzo di una crisi epilettica. La seconda in tre mesi. Il corpo ha smesso di tremare dopo poco, ed è cominciato quel rumore orrendo di lui che respira come se russasse, o come se stesse per morire. È un rantolo orrendo, come se dalla bocca, oltre al sangue della morsicatura sulla lingua, dovesse uscire anche la vita. Era bianco come uno straccio, le labbra viola, gli occhi in su come nei film degli zombi. Emma si è precipitata immediatamente nello studio, aveva gli occhi pieni di terrore. Dan non aveva ancora assistito a una crisi epilettica, e, pur mantenendo la calma, era anche lui terrorizzato: continuava a mettere il suo dito sotto il naso di Luca per assicurarsi che respirava. Io, chiaramente spaventata, non ho perso il controllo: sapevo che sarebbe finita presto, che Luca sarebbe stato bene, che il suo cervello non sarebbe stato intaccato, che fa paura ma non è pericolosa. Questa reazione di calma e di razionalità mi ha però spaventato molto. Il mio cervello si sta in qualche modo abituando alle convulsioni terrificanti di mio figlio. Forse  anche le crisi epilettiche stanno divettando parte di una vita già complessa. A cos’altro ci dovremo abituare? Io, se siamo tutti d’accordo, direi che per un po’ anche basta.


Adesso Luca dorme. È nel mio lettone con Rosie, che non lo lascia solo nemmeno un minuto. Luca si sveglia solo per far ripartire il video che sta ascoltando: Baloo che canta a Mowgli e gli ricorda che la vita deve essere semplice, senza complicazioni. Luca ama ascoltarla in italiano, chissà perché.


Ti bastan poche briciole, 

Lo stretto indispensabile

E i tuoi malanni puoi dimenticar

Ti serve solo il minimo, e poi trovarlo è facile,

Quel tanto che ti basta per campar.


Io scrivo, seduta sul letto di fianco a lui. 

È bellissimo.








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