L'importanza del bigliettino






La settimana prossima arrivo a Milano. Questa volta ci starò per quasi un mese perché io e le mie sorelle abbiamo deciso a malincuore di cominciare a svuotare la casa di via Sismondi.

 

Sarà un periodo estremamente difficile per tutte e quattro. Immagino che questo sia l’ultimo passaggio del lutto, dopo di ché non avremo più un luogo preciso in cui al nostro arrivo, troviamo la mamma davanti alla porta ad aspettarci. Dopo di ché vivremo soltanto di ricordi. Per molto tempo non ci siamo sentite pronte a fare questo passo, e forse non lo saremo mai, eppure bisogna affrontarlo. Ho comunque la netta sensazione che sarà il più difficile di tutti. Sì, perché la casa di via Sismondi per noi non è solo un appartamento. È tutto quello di tangibile che rimane della nostra vita con i nostri genitori. La comprarono nel 1968, quando io avevo sei mesi, facendo debiti a destra e a manca. Alla mamma piaceva ricordarci che allora lei guadagnava più di papà, che aveva da poco iniziato la sua carriera in Rai.

 

L’appartamento è molto grande e luminoso, con un grande terrazzo, l’ascensore in casa, un grande camino in sala. Marmo e parquet. Dal 1968, i miei genitori hanno fatto molti lavori, ma i mobili e i quadri sono sempre stati gli stessi. Dalle fotografie che guardo mi vengono in mente le diverse facce della sala: quando ero piccola c’era la tappezzeria verde e lo studio di mio padre era dove adesso c’è il tavolo, i divani erano di fronte al camino, la cassapanca appesa al muro, in cui avevano messo da una parte la televisione e dall’altra lo stereo. Anche la mia camera è cambiata mille volte: prima con la tappezzeria con i fiorellini rosa, poi quella con fiori gradi e gialli, poi con il letto a castello dove dormivano Renata e Serena e un letto che durante il giorno si metteva sotto il letto a castello e la sera si tirava su, dove dormivo io. Le pareti sono state coperte di poster: prima McEnroe e Bjorn Borg, poi quello del soldato americano nel Vietnam e poi tanto, tantissimo Vasco Rossi. 

 

L’ultima frase che mio padre ha detto uscendo di casa quel maledetto 17 ottobre è stata: “Che bella casa che abbiamo!”. Mia madre ha sputato sangue pur di non venderla quando è rimasta sola, anche se mantenerla costava tantissimo. Poi come una formichina ha sempre messo dei soldi da parte per fare delle ristrutturazioni: ha rifatto la cucina, ha cambiato tutte le porte, ha cambiato il parquet, tutte le porte finestre, che sono tante, imbiancato diverse volte, fatto costruire una pedana di legno progettata da mio cugino Fabio da mettere in sala. E poi, da sempre mia mamma ha tenuto la casa pulitissima, dedicando le prime tre ore del giorno a pulire, i pavimenti, a passare il battitappeto, a spolverare, a pulire i bagni. La prendevamo in giro dicendo che puliva sul pulito! La casa è sempre stata curata nei minimi particolari che neanche i grand hotel. È stata molto amata. I muri hanno assorbito 53 anni di vita Viola. Se solo potessero parlare…

 

È difficile per tutte le persone che come noi devono affrontare questa situazione, immagino: tutto quello che c’è in casa ha dietro una storia, un ricordo. Io e le mie sorelle stiamo cercando di capire da dove iniziare, anche se teniamo tutte il cuore insanguinato in mano. Dovremo dividerci i mobili e tutto il resto. 

 

Oggi stavo lavorando. Parte del processo di scrittura che mi aiuta è scrivere a mano appunti che mi vengono in mente per poi elaborarli al computer. Ogni anno mi compro il quaderno a quadretti di Moleskine più caro che si possa trovare; Sofia mi ha regalato una bellissima penna stilografica e io scrivo, anche se poi magari non rileggo più gli appunti. 

 

Il quaderno che sto usando in questi giorni ha una taschina all’interno della copertina di cui mi ero dimenticata. Oggi ho notato l’angolo bianco di un foglietto e l’ho tirato fuori. Era uno dei messaggi che mia mamma mi scriveva quando si preparava per andare a letto e io stavo in sala a guardare la tele. Un messaggio scritto di fretta, per ricordarmi di togliere le chiavi dalla porta dell’ascensore perché Giacomo, mio nipote, sarebbe venuto a dormire dopo il suo lavoro in teatro come tecnico luci. Se le chiavi fossero rimaste nella toppa, mio nipote avrebbe dovuto suonare il campanello e svegliarci.

 

È un bigliettino che se mia mamma non fosse morta avrei buttato senza neanche pensarci, e che adesso ha un valore inestimabile. Perché sono queste le cose che mi mancheranno di più di tutte. Più dei mobili, dei quadri, della casa mi mancheranno i fogliettini, i piccoli gesti che erano parte del quotidiano, le cose che hanno una validità diversa. Una Settimana Enigmistica fatta da lei è diventata più preziosa di qualsiasi cosa, così come i messaggi che si scriveva sulla lavagna per non dimenticarsi scadenze e appuntamenti, o il cesto delle cose sporche mezzo vuoto, la carne nel congelatore. Insomma, tutte quelle piccole cose per casa che adesso sono diventate dei piccoli tesori, che confermano il fatto che la mamma non era per niente pronta ad andarsene da lì, la triste realtà di un cuore che si è fermato nel mezzo del tran-tran della vita, con i gesti fatti quasi in automatico.

 

La settimana prossima arrivo a Milano, a casa. Mi sentirò a casa ancora per un po’.

 

Commenti

  1. Le piccole cose, quelle che sono le più importanti di tutto.

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  2. Che bello leggerti. Che malinconia leggerti.
    Mi dà sempre l'impressione (anche se lo stile e le corde che tocchi sono tutt'altre) di leggere ancora qualcosa del tuo fantastico papà.

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  3. Che bello leggerti ! Un abbraccio

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  4. Bellissimo posto l'ho letto con le lacrime pronte ad uscire perchè, purtroppo, so perfettamente cosa stai provando. E' da due anni che non riesco a ritornare a casa di mia madre dopo la sua morte. Però mi hai regalato anche un sorriso perchè la trasformazione della Moleskine in Maneskin mi ha dato la svolta: d'altro canto abbiamo sempre bisogno di bellezza nella vita. Un grande abbraccio

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  5. Torno sul tuo blog dopo qualche mese e mi faccio il pieno dei tuoi ultimi post. Leggerti è sempre un piacere. Ed un'emozione.

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