La mamma ha mal di testa







La mamma ha mal di testa. Ma non un mal di testa di quelli che prendi un'aspirina e va via. Un mal di testa perenne e atroce. Non dorme di notte, non riesce a stare coricata. Sta male. Male, lei che anche quando ha partorito che dice cosa vuoi che sia. Lei, la mamma, la mia roccia. Il mio punto fermo.
La mamma ha mal di testa. E il suo dottore, il Gagliardi, che ha l'ambulatorio della mutua in viale Corsica, tra la casa dove viveva la mia amica del cuore e la farmacia, il Gagliardi, dicevo le dice di fare la tac.

Io la tac me la ricordo. Anche Luca quando aveva undici mesi e pensavano avesse un cancro al cervello per via del suo sviluppo mentale balordo aveva fatto la tac. E la mamma era venuta da Milano fino qui in America per stare con Luca con il suo camice piccolino d'ospedale per fare la tac. La ricordo bene, io, la tac.
E adesso, tredici anni dopo, tocca la mamma. E io invece di essere con lei, come lei è stata con me, io sono qui.

La tac è chiara: la mamma ha un mandarino in testa: quattro centimentri e mezzo di meningioma. Roba da neurologo, anzi no, da neurochirurgo.

Me lo dice al telefono, aggiungendo che è incazzata, parola che la mamma usa solo in casi rari come questi, perchè lei vuole essere qui per il ventidue di ottobre e il dodici di novembre, compleanni di Sofia e Luca. Come tutti gli anni. E invece il meningioma, il suo limone, il suo mandarino in testa le dice no, tu stai qui. A Milano. Quest'anno le candeline e i regali saranno senza di te.
Meningioma. Suona come una cosa pericolosa. Meningioma, come meningite ma peggio. Roba di cervello. Cervello. Anche mio padre quando è andato se ne è andato per via del cervello. Roba diversa, ma stesso muscolo. È poi un muscolo il cervello? Transit. Meningioma ha l'odore di ospedale, di tumore, di roba brutta.

Anna e Renata, due delle mie tre sorelle, sono lì con lei, che cercano in modo goffo e poco rassicurante di sdrammatizzare, mentre aspettano di arrivare alle sei e mezza di sera, quando Marco Cenzato, neurochirurgo primario sia a una clinica privata di ricchi che a un gorsso centro di chirurgia e amico di Giorgio Terruzzi (detto tutto) le aspetta, tutte e tre, a parlarne.

Solo che io sono qui, a Boston, nel Massachusetts, che da Milano dista circa seimila chilometri. Meningioma a seimila chilometri sembra tutt'altra roba: non prendi la Vespa o la macchina, non ti precipiti in via Sismondi, non prendi l'ascensore con l'odore che a noi fa sentir casa, non abbracci la mamma impaurita. Non le fai la battuta per sdrammatizzare. Da Boston non hai nessuno strumento. A parte Google.

Meningioma: tumore benigno che cresce sulle meningi, senza intaccare il cervello. Il meningioma è asintomatico, e può essere pericoloso quando comincia a far pressione sul cervello, causando crisi epilettiche e menomazioni di vario tipo. Niente a che fare coi mal di testa.
Marco le trova tutte e tre nella sal d'attesa della sua bella clinica privata. Roba da ricchi. Le abbraccia e le invita a sedersi. Mette il cd della tac nel computer e dice, ah si, un meningioma. Benigno, con queste robe qui non si muore, ma deve essere asportato. La mamma prende e si alza dicendo io non mi faccio operare alla testa.

Poi in realtà non capisco bene cosa Marco abbia detto. Renata dice che Marco pensa che l'unica soluzione sia operare. Anna dice che Marco aspetta la risonanza magnetica e poi vediamo cosa fare; la mamma dice che si sente più tranquilla.
Io qui, a quelle seimila miglia accennate sopra.

E poi passano anche due o tre giorni quasi normali. Fino a oggi, quando alle otto e venti, come tutte le mattine da vent'anni a questa parte chiamo mia madre. La trovo provata, agitata, nervosa. Ormai in questi vent'anni ho imparato bene a capire dalla voce, e non è la solita mamma. Sono nel pallone, dice, non capisco perchè ma io non voglio operarmi in testa. E poi ho saputo da questo e quello che il meningioma è una cosa comune, che ci sono delle alternative alla chirurgia. io se posso, vorrei evitare di essere operata. Io, Marina, per la prima volta nella mia vita, ho veramente paura.

Questo prima del caffè. Prima ancora di capire se ero sveglia o no. La mamma d'un tratto mi è diventata da roccia a ghiaccio che si scioglie e ci si scivola. Territorio nuovo. Roba nuova per me, che mi sono sempre sentita tanto figlia,  poco all'altezza, di supporto. Per un attimo mi sono fermata a pensare: non dire la solita cazzata; questa è la prova del fuoco. Dici la cazzata adesso e le fai capire di non essere all'altezza. Che invece ci sei eccome, dopo tutte quelle diagnosi al Children's Hospital per Luca, dopo tutte quelle cattive notizie, se c'è una che sa, per dio, sei tu.
Silenzio. Stavo pensando. Alla fine è venuta fuori la frase, mamma, hai ragione, forse è utile cercare di capire che alternative ci siano. Anche da quello che ho letto, mi sembra che ci siano altre possibilità oltre la chirurgia. Parlane con Marco, che lui lo sa. Digli che hai paura, e chiedigli cos'altro si potrebbe fare.

Poi ad un tratto mi trovo il giorno dopo a discutere on le mie sorelle: Anna con il suo modo sempre tranquillo mi fa capire che dovremmo semplicemente aspettare quello che dice Marco, neurochirurgo di professione e amico caro, e Renata, un pò più preoccupata che invece spera che la chirurgia dia un taglio anche a questa paura e che non se ne parli più. Insomma, il panico che entra nelle nostre voci mi mette ancora più ansia.

Scrivo al Giorgio. Gli confesso le mie paure: paura della lontanaza, paura di non avere un quadro oggettivo della situazione, paura di un conflitto con le sorelle in un momento in cui non c'è spazio per conflitti, ma c'è un'opportunità per unire le forze e far vedere di che pasta siamo fatte.

Il Giorgio coglie e scrive. Scrive come solo lui sa scrivere a tutte noi. Manda un messaggio di amore e di oggettività e di supporto. Proprio come avrebbe fatto un fratello maggiore. Parla con la mamma, con Marco, con noi, e propone alternative, e prende in mano la situazione e ci fa capire che lui c'è.
Cambia tutto: la mamma è più serena, le sorelle sono meno agitate, io mi sento più vicina a tutto e tutti. La mamma, ci conferma, è in buone mani e non morirà di meningioma. Finalmente noi tutte  possiamo respirare.

Penso a come sarebbe diverso se mia madre non fosse l'unico genitore rimasto. Penso a come papà avrebbe potuto reagire a una notizia del genere: come avrebbe lui, invece del Giorgio, affrrontato una debolezza della mamma. Come noi, con un genitore in più, avremmo reagito.
Una di quelle mille volte che penso come sarebbe se lui avesse preso le sue medicine per colesterolo e pressione alta. Ma poi questa è anche un'altra storia. Irrisolta. Irrisolvibile.

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