Quando un amico muore (cit.)
Oggi è morto Bruno Pizzul. Il suo nome ha accompagnato la mia infanzia e i miei anni adolescenziali. La fotografia di lui e di mio padre che leggevano l’Intrepido ha troneggiato sul muro del corridoio di casa di mia madre fino a due anni fa. Bruno era un uomo buono, una persona perbene, dedita al lavoro, che svolgeva in modo eccellente, senza mai esagerare con avverbi e aggettivi, e non era certo quello che rifiutava una serata a mangiare, bere e divertirsi con i suoi amici.
Ma soprattutto, era un pezzo di quel mondo lì, di cui la mia famiglia faceva parte. Fu uno dei primi amici di papà che chiamai quando anni fa decisi di scrivere il libro Mio Padre È Anche Beppe Viola. A qualche mese dall’uscita del libro, mi chiamò per invitarmi a Cormons, il suo paese d’origine, e presentarlo insieme. Ha sempre voluto bene al suo collega un po’ matto e non perdeva occasione per parlare di lui e delle loro marachelle. Quando arrivai, mi viziò, mi accolse con grande affetto, mi raccontò, mi abbracciò e mi scroccò un paio di sigarette che fumammo nel retro del ristorante. Una parte importante della nostra vita, una generazione che a poco a poco sta sparendo. Ed è anche per questo che lo piango.
Dicevo a un mio caro amico che se i miei genitori fossero ancora vivi, sarebbero straziati dalla notizia. Avrebbero preso subito la macchina per andare a Cormons per dargli l’ultimo saluto, per vederlo ancora una volta. Anche questo pensiero mi rende molto triste: il fatto di non poter partecipare con loro a una mancanza così grave.
Oggi leggevo i commenti lasciati dai suoi ammiratori sui social media, pieni di affetto e di ammirazione. Sono sinceri, appassionati. Qualcuno ha scritto, come dicevo io, che se ne va un altro pezzo di quel modo di lavorare che adesso non si trova più. Ma poi ho pensato alla famiglia di Bruno. Anche io ho sofferto, ben due volte, la perdita dei miei genitori. Per quanto l’affetto degli altri sia molto importante, essenziale direi, il vuoto lasciato sarà sempre lì, mai riempito da nessun altro. Penso che dopo poco che la notizia viene accolta con malinconia, poi la gente continua a fare le proprie cose, ha il privilegio di non portarsi con sé quel dolore immenso che cambia per sempre la propria vita. La morte porta al raccoglimento, al desiderio di silenzio e solitudine.
Quando mio padre morì, eravamo molto giovani sia io che lui e certamente questa mancanza così inaspettata e di gran lunga in anticipo non ha aiutato a digerirla. “Non starò mai più così male”, almeno così pensavo. Poi invece, tre anni fa ho perso anche mia madre, che di anni ne aveva 82 e il dolore, immenso, non è stato tanto diverso da quello dell’82. Insomma, non si è mai pronti, anche quando si crede di esserlo.
Bruno aveva 87 anni, e forse la sua famiglia si stava preparando a una fine imminente. Ma subito dopo la morte di un genitore, si è presi con cose pratiche da affrontare: le telefonate degli amici, l’organizzazione del funerale, l’incredulità nello scoprire che non si era pronti per niente. È dopo tutto questo, quando diventa reale il fatto che non ci sono più che arriva la batosta. Quando il telefono con il suo numero non squilla mai, quando vai a casa sua e non è seduto sulla sua poltrona, come sempre. Quando ti succede qualcosa e non puoi condividerla. Basta una fotografia di famiglia, di una vacanza di quarant’anni fa per farti salire ricordi a cui non pensavi da anni in cui c’erano tutti, proprio tutti e nessuno pensava che un giorno la famiglia sarebbe cambiata così drasticamente.
Sono momenti, quelli in cui è chiaro che non si trattava soltanto di una notizia, di una settimana caotica, ma dell’inizio di una nuova fase della vita, che si attraversano da soli, seduti per terra di fronte a una scatola di fotografie di spiagge con bambini, adulti, foto fatte anche male ma che in lontananza mostrano i genitori, sotto l’ombrellone, a fare le parole crociate o a chiacchierare.
Dunque penso ai tre figli di Bruno, scombussolati e doloranti oltre modo. Penserò a loro quando la notizia evaporerà dai giornali e dai social. Penserò a loro anche se non ci siamo mai conosciuti, perché da adesso siamo un po’ fratelli.
Gentile Marina, ho letto questo sue belle e delicate osservazioni sulla scomparsa di Bruno Pizzul ma anche su quella dei suoi genitori. Posso immaginare le belle ore passate da tutti voi quando vi incontravate. E' molto bello come conclude il suo articolo, sara' cosi', anche se forse non vi incontrerete spesso. Il dolore comune puo' avvicinare, si'. Ho perso la mia cara mamma che aveva quasi 93 anni lo scorso settembre. Non si e' mai pronti, neanche sapendo che raggiungere un'eta' cosi' avanzata sembra ed e' un grande privilegio, per lei e per noi figli. Tutto cambia dentro di noi eppure continuiamo con la nostra vita, ma nulla e' piu' lo stesso ed e' tristissimamente inaspettato, siamo del tutto impreparati. Sono del 1959 e mi ricordo benissimo sia di Beppe Viola sia di Bruno Pizzul anche perche' perche sono friulano di Capriva del Friuli, un paesino a 3 kilometri da Cormons. Non dimentichero' mai la frase di suo padre (ma non ricordo in che partita) in una diretta di calcio: "Tiro da megalomane" , tiro che era finito in tribuna mi sembra.
RispondiEliminaGrazie di questo suo bel ricordo cosi' personale, l'ho letto in lacrime.
Cordiali saluti, Daniele Altieri
Grazie
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