Press play


Dunque si, la mamma se ne è partita, ancora una volta. Quando l’ho lasciata all’aeroporto, dopo l’ultima sigaretta fumata ormai senza fretta, mentre ascolto le ultime sue raccomandazioni, dopo aver fatto il check in, ormai era arrivata l’ora di incamminarmi verso il parcheggio e lasciarla lì, la mamma, su una poltrona di pelle nera dell’aeroporto, ad aspettare di entrare nel gate.
L’ultimo giorno è sempre il più strano. Ci nascondiamo grossolanamente un pudore dettato dalla tristezza del distacco, l’ormai quasi familiare addio, i conti con una distanza che sembra meno grande ogni anno. Ci nascondiamo con un certo senso di colpa anche un’euforia di ritorno alla normalità: sua e mia, ovviamente.
Il giorno della partenza ci sentiamo tutte e due come impacciate, quasi la stessa del giorno d’arrivo, impastati come si è di fuso orario e di voglia di raccontarci tutto e niente. Oggi lei ritornerà a casa sua, riconquisterà i suoi spazi, riprenderà suoi ritmi, si fumerà una sigaretta in sala, assaporando i drammi di ‘Un posto al sole’ dopo cena, aspetterà le telefonate di Milena, delle sorelle, si organizzerà per ricomniciare il suo storico impegno con l’Opera san Francesco. Tutto è stato messo in sospeso per un mese, per poter venire qui, a stare con noi, con me.
E io anche, a modo mio, ho messo in sospeso molti dei miei gesti quotidiani: da quando è arrivata non esco senza il letto disfatto, la tazza del caffé la mattina va direttamente dal tavolo alla lavastoviglie, senza passare per il lavandino, e lì stare fino al tardo pomeriggio. Metto a posto tutto quello che tiro fuori, appendo la giacca, non invito i miei molti amici a cena, la sera faccio una partita a Machiavelli invece di stare con Dan. Non faccio più l’amore, per paura che si senta tutto. Quando lascio l’Italia ho sempre l’impressione che si possa schiacciare il pulsante con le due lineette della pausa, come quando nel bel mezzo di un film ti scappa pipì o squilla il telefono. Anche qui l’arrivo di mia madre mi fa mettere la mia vita in pausa: adesso bisogna invece rischiacciare play.
E da oggi alle diciassetteezerocinque, quando decolla l’aereo Alitalia volo 613, io ritorno ai miei momenti tranquilli a casa, a scrivere o soltanto a cazzeggiare al computer, alle mie cene ordinate all’indiano o al thailandese. Alle mie lunghe telefonate con le sorelle, a parlare liberissimamente e spudoratamente di tutto e di tutti, giurandoci di non dirlo a nessuno.
Bisogna essere più presenti con Dan, che ha perso la mamma tre giorni prima che mia madre arrivasse, e che non ha avuto tempo di prendere la mia spalla e bagnarla di lacrime.
Bisogna essere più concentrati per quanto riguardano le varie terapie per Luca: stampare fogli, laminarli, appenderli in camera sua così che Dan la mattina possa compliarli per vedere su cosa lavorare più assiduamente.
Bisogna cominciare a controllare più metodicamente i compiti di Sofia, avere più tempo per occuparsi di Emma.
Bisogna fare bucati, apparecchiare, scopare bene in cucina che l’altro giorno non l’ho detto a mia madre ma ho visto un topo che quasi muoio.
E poi bisogna ritornare in palestra, mandar giù pancia e colesterolo. Bisognerà, ma quello con calma, pensare anche ad abbandonare le sigarette, e bere un po’ meno che qui i dottori non scherzano con i sensi di colpa e gli allarmismi.
A poco a poco bisogna insomma rientrare nella mia vita, quella lontana da mia madre, lontana dai piccoli drammi familiari di via Sisimondi, e riaffrontare quella che mi sono faticosamente conquistata qui, cercando di colmare lacune e distanze.
E poi se va bene stasera si farà anche all’amore.


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