Roba minima


 È venuto fuori che le canzoni di Jannacci le può cantare solo Jannacci, perché non è una roba di cantare, è una roba di metterci quella roba lì che c’ha solo lui. Come cercare di imitare Charlie Chaplin, o Tow Waits, o Robert de Niro: non viene.
È venuto fuori che è un genio. Ma non un genio come si dice di robe normali. Un genio. Vero.
È venuto fuori che io sono qui a portar fuori i cani con ‘sti americani intorno che mi dicono it’s allright e a me mi viene da dire, allright che cosa, pirla. Perché io la gente come te la conosco, allright di merda. Parlo di malinconia.
È venuto fuori che sono tutti diventati vecchietti: Fo, Cochi, Renato, Boldi, Teocoli, Vanoni, Vecchioni. Eppure sono di quella scuola che poi quando non ci sono più loro sarà dura provare a ricrearla. Perché sono le loro facce, i loro movimenti, le loro mani che rendono l’idea.
È venuto fuori che per tutta la sera non ho fatto altro che immaginarmi come sarebbe stato mio padre, da vecchietto, come gli altri, e cosa avrebbe detto. Sicuramente, ve lo assicuro al cento per cento, non avrebbe cantato. Anche perché non faceva altro che dire che Enzo non canta: urla.
È venuto fuori che Paolo Jannacci è struggente quando canta la canzone di Tenco a suo padre, e che è vero: com’è difficile, io che non so vivere senza di te. Provato anch’io e posso confermare.
È venuto fuori che mi sono dovuta portare il computer su cui guardo la trasmissione al cesso, il mio ufficio tipo Fonzie, per fumarmi una sigaretta che qui è come parlar male della madonna, mentre ascolto Cochi e Renato che cantano la vita l’è bela. Che ci tengo, perchè a me mi viene sempre in mente l’orologio che porta mia madre al polso. Pare infatti che quando quella canzone, scritta da mio padre, avesse preso piede, Pozzetto si fosse tolto l’orologio (Rolex?) dal polso e avesse detto: “ Bravo, Peppi, bravo per la canzone. Ecco, ti regalo questo”. E che mio padre l’avesse indossato da quel momento in poi. Mia madre glielo tolse dal polso, ancora caldo, quella sera del Fatebenefratelli e anche adesso le girano le palle se qualcuno lo tocca.
È finalmente venuto fuori Enzo, dopo più di un’ora di trasmissione. E sono venute fuori delle belle lacrimone pesanti e calducce, per una miriade di motivi che non sto qui a menare il gramo.
È venuto fuori un rapporto tra lui e Paolo, genio anche lui del pianoforte, che nessuno dei due riesce a mascherare e una complicità ovvia e struggente, specialmente quando tutti gli ospiti provano a fare un quelli che, e dicono le loro robe, e  Enzo guarda suo figlio come dire: questa serata qui è per te, io basta, portami via che sto male. Ci sono sguardi tra di loro che dicono di tutto. Ma poi invece Enzo decide di dare l’ultimo colpo di reni e, abbracciando la Vanoni, fa il suo show che noi vogliamo vedere ma che abbiamo paura che non venga. E invece viene.
È venuto fuori che Enzo sta male, e che personalmente è un dolore immenso. Perché è vero che poi ci sono robe che fanno girare i maroni, che dici ma che cazzo. Ma poi ce ne sono altre, di robe, che mi fanno venire in mente un mondo che non ci sarà più, e che me lo fa mancare ancora prima che se ne vada.
È venuto fuori che Enzo, invecchiato, è ancora bello, coi suoi denti sempre perfetti, e con le sue mani grandi, con il pollice piegato in fuori a metà, come me lo ricordo da anni. Roba minima, direbbe lui, ma insomma, roba tanta. E che nella mia nostalgia quasi ridicola mi ricorda mia nonna. Le guance, dico.
È venuto fuori che è stato bello far ricordare a tanta gente che mio padre ha fatto e ha scritto e ha cambiato, ma comunque non è una bella sensazione aver tirato fuori veleni antichi e addirittura non miei, quando poi cado facilmente in sentimentalismi incontenibili.
È venuto fuori che niente poi è ovvio, o semplice. E che forse aveva ragione quella gente lì del derby e di Gattullo e di Cochi e Renato: buttiamoci su una realtà assurda, come quello che mangia durante la trasmissione e che non si capisce un cazzo, che forse invece c’ha ragione lui.



Commenti

  1. Sono cresciuto con quelle atmosfere lì.
    Con le canzoni, gli articoli, gli sketch televisivi, le partite raccontate.
    E lei ha descritto perfettamente gli stati d'animo vissuti ieri sera, anche da un semplice spettatore di tutto ciò.
    Grazie quindi, una bella scoperta - grazie a una amica scrittrice anche lei innamorata di quel mondo -, anche per i suoi scritti precedenti, seppur dolorosi.

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  2. La Tua malinconia, sul percorso di questo tempo e, quelle musiche e canzoni che mi hanno fatto molta compagnia e Vincenzina, riascoltata ripensando a quando ancora facevo l'operaio all'Innocenti in via Rubattino ed ora restano pochi segni, un quartiere residenziale e altri centri commerciali, la Tua malinconia, l'ho letta con affetto, ripensando anche al piacere che provavo quando aspettavo l'uscita di Linus per ritrovare oltre a quelle strisce, anche quei bei pezzi che scriveva Beppe Viola.
    Un saluto e tanti Auguri
    Enzo

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  3. I miei maestri di una Milano che non volevo fosse mia, ma che sapevo essere loro. Proprio come quando li vedevo, a quattordici anni, dalle vetrine di Gattullo, mi appoggiavo con il manubrio della bicicletta fingendo un surplace, fino a quando non veniva fuori il Gattullo proprio lui e mi diceva "uè ragazzo, fuori dai maroni" e io sapevo che là dentro parlavano tutti come lui. E avevo atteso quel momento più di una brioche. Grazie Peppin, grazie Enzo e grazie a te.

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  4. Cara, non ci conosciamo, ma ti abbraccerei. Mi sono permesso di pubblicarlo sulla mia pagina di fesbuc. Sai, per fare un po' l'americano.
    Ps. il libro presentato in trasmissione l'ho trovato pesante e vuotino. Parere mio.

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