A Milano, senza perdere tempo





Mi sveglio presto, considerato che sono andata a letto che erano le due passate. Non so perché: io di solito sono una dormigliona, ma mi sembra che dormire tanto quando sono a Milano mi faccia perdere tempo.

Sono qui da tre settimane e sono immediatamente entrata in una routine che mi sta comoda come una vecchia ciabatta: mi trascino in cucina a piedi nudi (“Sei proprio come tuo padre, sempre scalza!"), con i capelli tutti in piedi e gli occhi ancora sensibili alla luce. Mia mamma mi dice: “Ma è presto!” mentre accende il gas sotto la caffettiera. Il mezzo limone, che io spremo nel bicchiere pieno d’acqua tiepida tutte le mattine, è già sul tavolo, di fianco alla tazza del caffè e ai biscotti, che non mangio mai.

Sembra sempre che non ci vediamo da mesi: lei comincia a raccontarmi quello che ha fatto la sera prima (lo so sono una figlia snaturata e esco tutte le sere), quello che sta facendo (di solito pulisce) e quello che vuole fare durante il giorno (andare da Milena). Io la ascolto divertita, e dopo il caffè fumiamo la prima sigaretta insieme. Il telefono alla mattina squilla tre volte: verso le otto è Anna, che dà il buongiorno e ci assicura di stare bene. Alle nove è invece Milena, che si presenta dopo una mezz’oretta con due brioche (una per me e una per lei). L'ultima è Renata, che oggi ha detto che sulla pagina della cultura del Corriere della Sera c'è un bell'articolo sul libro con una foto della mamma e di Luca che si abbracciano. La mamma si commuove, ma di nascosto. Rimango in pigiama fino a verso le dieci, quando mia mamma e Milena escono per fare la spesa.

A parte la moquette che è stata tolta anni fa, il bagno è esattamente come quando ero piccola. La doccia (scomoda, a dire il vero) non è di quelle che ci stai venti minutu e canti. È sbrigativa: una passata di sapone e via. Non faccio in tempo a vestirmi che mia mamma è già tornata.

Stamattina ho deciso di andare in Porta Ticinese per comprarmi una di quelle borse di cuoio che fanno in quel negozietto di cui mi parlava Anna, quello proprio dopo le Colonne di San Lorenzo, sulla sinistra per dire.

La 54 è piena, la mia musica suona a manetta nelle cuffie, e dentro di me sento un senso di appartenenza antico, che mi scalda il cuore e la testa. Piazzale Susa, corso Plebisciti, Piazza Dateo, corso Indipendenza e sono subito in centro. Scendo e mi guardo il Duomo come se fossi una turista giapponese, o, peggio ancora, americana. Ho sempre paura che la gente pensi che io sia una turista. 

In effetti, dopo così tanti anni lontana da qui, ho delle lacune ormai incommensurabili, soprattutto per quanto riguarda quello che succede in radio, in televisione, sui giornali. Non riconosco nessun nome degli ultimi beniamini della canzone (e forse non mi perdo neanche niente) o dei vari conduttori di trasmissioni scoppiazzate dall’America. Mi prendono in giro, i miei amici italiani, e mi chiedono perplessi: “Come, non sai chi è Rocco Siffredi?!?” Non lo so, e a dirla proprio tutta, vivo benissimo lo stesso.

Imbocco via Torino e cammino spedita. Ne approfitto per fare un paio di telefonate, mandare due messaggini, e dopo dieci minuti entro nel negozietto fricchettone ma bello. Mi metto subito a chiacchierare con il proprietario, che infatti alla fine sa tutto di me, segno zodiacale compreso, e quando pago e mi avvicino alla porta, gli viene spontaneo un abbraccio e un “Ciao, Marina, grazie!”.

Esco soddisfatta, e mi intrufolo di nuovo tra la folla milanese, diventandone fieremente parte integrante, come una goccia che cade in una pozzanghera e subito viene subito accolta, senza troppi scrupoli. Anche se non ho ancora capito chi sia la conduttrice de La Vita in Diretta.




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