Énas kafes: Richard il greco






Sono anni che aspetto l’occasione per raccontare questa storia, per cui ringrazio il popolo greco per avermi dato questa rara opportunità. Storia, in realtà che non c’entra assolutamente niente, ma insomma, l’elasticità mentale deve pur essere rivalutata, perdìo.
Io ho un amico che chiamarlo amico è anche riduttivo: è Richard, il mio fratello maggiore. L’ho conosciuto esattamente ventotto anni fa. A parte una parentesi (sua) in Arizona di tre anni, non è mai passata una settimana senza vederci, tre giorni senza sentirci. Lo considero una delle persone più importanti della mia vita.

Richard, in realtà, è nato come amico di Dan. Si erano conosciuti durante un semestre universitario passato a Siena. Appena arrivati in Toscana, avevano conosciuto una band locale che si chiamava I Barbieri, il cui successo si intitolava “Viva il Lunedì (il giorno della festa!).

I Barbieri, dopo aver conosciuto in un bar questi due americani chitarristi un po’ strani, avevano creato con loro un gruppo rock demenziale, che avevano deciso di chiamare “Paolo and the Businessmen”. Andavano a suonare (loro quattro: due senesi e due americani) alle feste dell’Unità toscane. Il loro tecnico, per spiegare un po’ di cosa sto parlando, era Karsten,un ragazzo tedesco che per guadagnare i soldi per comprarsi il tabacco faceva il mangiatore di fuoco in Piazza del Campo. Il ruolo di Richard nella band era quello di cantare canzoni, tra cui una intitolata “La forma di pane che uccide” mentre ballava come Liz Taylor nel film “Chi ha paura di Virginia Woolf?”

Al loro ritorno negli States, io e  Dan ci conosciamo a una festa, dopo un po’ diventiamo morosi e, dopo qualche tempo ancora mi parla del suo amico Richard. Un giorno mi fa: “Dovresti chiamarlo: ecco il numero, vedrai che ti farà ridere!”. Io, ubbidiente e innamorata, lo chiamo e lui risponde dicendo: “Maiala troia!”, perché allora era il suo pronto. L’ho amato da subito.

Da allora siamo diventati amici, e infatti dopo essere stata cacciata dalla famiglia dove facevo la ragazza alla pari (storia lunga, lo so), mi rivolgo a lui per cercare casa: un’occasione per conoscere meglio lui e tutto il suo giro di amici, matti come lui. Finisce il mio anno americano e torno a Milano, ma dopo qualche mese arriva anche lui. Rmane a casa di mia mamma qualche tempo prima di trovare un appartamento con un certo Pino il Meccanico con cui rimane per tre anni emmezzo. Io, dopo tre anni mianesi, abbandono Milano e la famiglia per seguire Dan nel New Jersey, ma dopo qualche mese, stanco di Pino il Meccanico e della vita meneghina, arriva anche Richard. Sono anni che mi segure, insomma.

Voi direte: cosa c’entra con la Grecia? Finora niente, assolutamente niente.

Richard ha seimilaquattrocentosessantanove talenti, uno dei quali è la sua capacità di imparare le lingue. Credo (ma devo confermare) che sappia almeno una frase in un centinaio delle lingua parlate sul globo terrestre. Lui sente una frase in farsi, in norvegese, in marocchino, in islandese e se la ricorda. Non ho mai capito come faccia, sinceramente.

Vivevamo allora in un paesino del New jersey, dove lui e Dan erano iscritti a un dottorato di letteratura italiana. Nel campus c’erano dei food truck (si dice così in italiano?) dove lui andava a pranzare o a prendere il caffè. Era particolarmente affezionato a quello gestito da una famiglia greca (ve l’ho detto che ci sarei arrivata). Aveva nel tempo imparato, dalla signora che serviva, a chiedere il caffè in greco, e fiero ordinava: “Kalimera! énas kafes parakaló”, Poi con il tempo aveva imparato a chiedere lo zucchero (zachari), e a poco a poco anche altre frasette, che usava spesso. La signora era felice di avere un bravo studente, e lui ancor di più di imparare.

Un girono arriva e invece della signora al banco trova un ragazzo. Sfoggia un kalimera come se niente fosse, e poi, come sempre ordina: ‘énas kafes parakaló’. Il ragazzo, in silenzio esegue. Poi Richard vuole dirgli che non vuole il latte nel caffé, per cui senza indugi domanda: “How do you say ‘no milk’ in Greek?” E il ragazzo risponde: “Amnotgrik”.

Richard, sforzandosi per dirlo giusto, prova a imitarlo: “ Énas kafes amnotgrik, parakaló”. Il ragazzo non sembra per niente soddisfatto: “Amnotgrik!”. Richard ci riprova, sforzandosi ancora di più: “Énas kafes amnotgrik, parakaló” Il tipo, sempre meno contento e ormai anche un po’ irritato ripete: “Amnotgrik!” Richard a questo punto dà il meglio di sé e ci riprova per la terza volta.È diventata una questione di principio. “Énas. Kafes. Amnotgrik. Parakaló”

Il tipo è visibilmente incazzato, e sforzandosi anche lui con la pronuncia urla: “Am-not-grik! Am from Egypt!”

Era il 1993.
E rido da allora.



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