La mia leonessa Sofia
Ci sono alcune usanze dell’America a cui non mi abituerò mai.
Per esempio quando nello stesso piatto vedo la pasta, l'insalata e un pezzo di
pane, o quando mi chiedono la carta di identità per comprare una bottiglia di
vino. Oppure quando compro un pacchetto di sigarette e mi chiedono se pago
contanti o con il bancomat. O quando per salutarmi non danno due baci, ma solo
uno, schivo, su una guancia.
Sciocchezze, in realtà, confronto alla consuetudine che si
ha di mandare i figli diciottenni al college, e cioé lontano da casa. Perché
diciott'anni sono pochi, e il college è enorme, pieno di ragazzini che non sanno
come fare a vivere da soli. E poi perché fino ai diciassette anni, i ragazzini
vengono trattati come dei bambini: li si accompagna dappertutto, gli si dà
poche responsabilità, non gli si parla di certe cose. Poi arriva il fatidico
giorno in cui diventano maggiorenni e li si spedisce a mille ore di distanza,
in un college che costa trentamila dollari all’anno. A diciotto anni, dico io,
si ha ancora bisogno di un bacio della mamma prima di andare a letto. O forse
hanno ragione loro a spingere i ragazzi a essere indipendenti, a tagliare una volta per tutte quel cordone
ombelicale che soffoca. Non so.
La ricerca del college inizia un annetto prima
di andarci: si sceglie cosa studiare, si vanno a visitare i diversi campus in
giro per l’America, si cerca di prendere dei bei voti, si compila l’iscrizione,
che richiede un esame di cultura generale più una tesina, e si aspetta di
sapere dove si è stati accettati e dove no. Poi, da lì, si sceglie dove andare.
Possibilmente, il più lontano possibile da casa.
Sofia, che a ottobre compirà 17 anni, ha scelto di studiare American Sign Language, che è il
linguaggio dei sordomuti. Ha deciso, senza mezzi termini, che per mestiere lei
donerà la sua voce a chi non ce l’ha. Non è stata una scelta semplice per lei,
e devo ammettere che quando ce l’ha annunciata, io e Dan siamo rimasti un po’
basiti: ci sembrava una scelta che non avrebbe portato a grandi prospettive, una scelta dettata da una passione adolescenziale piuttosto che da una scelta
ponderata. Ci siamo, ovviamente, sbagliati. Questa sua scelta, dettata da due anni di studio della
lingua al liceo, che viene proposta come una seconda lingua tanto quanto lo
spagnolo e il francese, adesso invece mi commuove profondamente.
Spesso, in passato, mi sono ritrovata a fantasticare su come
sarebbe Luca se non fosse nato autistico (e cioé, oltre alle altre cose, anche senza voce), ma mi sono
ritrovata a pensare, nelle ultime settimane, a come sarebbe Sofia se Luca non
fosse nato autistico. Mi chiedo se la sua scelta, per ora la più importante che
abbia fatto in vita sua, sarebbe stata diversa se non avesse avuto accanto a sé
un fratello disabile, senza voce e marginalizzato. Forse no. Ma come quando mi
chiedo come sarebbe un Luca diverso, anche questa domanda su sua sorella non avrà mai
una risposta certa.
Sofia è una giovane donna con settemila talenti: è un’ottima
disegnatrice, scrive come una vera autrice, legge tre libri alla settimana, per
lei la tecnologia non ha segreti, ed è avanti sei miglia rispetto ai suoi
coetanei, senza mai farlo pesare. È quella che in classe aiuta i compagni che
rimangono indietro, è quella che lotta per i diritti dei ragazzi che decidono
di fare il coming out, quelli intrappolati in un corpo che non è il loro. Non
segue nessuna moda, non gliene frega niente di andare contro corrente. Va dove
vuole andare, da sempre. Avrebbe potuto davvero scegliere qualsiasi cosa: un
percorso accademico che avrebbe potuto portarle successo, sia intellettuale che
economico.
Ma invece di dedicarsi a un obiettivo che avrebbe gustato
solo lei, ha deciso di donarsi a chi sta fuori, all’altro, a quello che non è
fortunato come lo è lei, e ha scelto, appunto, di offrire la sua voce e il suo impegno
per rendere meno marginale e meno disabile un gruppo di persone, tante, che ha
davvero bisogno di persone come lei.
Una scelta coraggiosa come è coraggiosa lei, la mia splendida
Sofia, che si nasconde dietro a una timidezza quasi patologica, ma che dentro ha
un cuore di leonessa, che spaccherà frontiere, e che andrà avanti malgrado
tutto, me lo sento. Diventerà una donna di quelle rare, di quelle che a
spiegarle non sembrano neanche vere.
Vorrei, a volte, poter essere un po’ come lei.
Complimenti Sofia da un' ex mediatrice alla comunicazione. P.S mai definire linguaggio una lingua segnica, i sordi si offendono a morte
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