Utero e ipocondria
Il mio terrore da sempre è quello di avere una
malattia gravissima e rara. Quando vado dal dottore, malgrado la mezza
pastiglietta di Xanax che mi prendo un'oretta prima, la pressione è sempre
altissima, e la mia dottoressa me la deve sempre misurare una seconda volta verso
la fine della visita, mentre mi tiene la mano, mi dice di pensare a una
spiaggia deserta (senza sapere che odio la spiaggia) e mi sussurra dolcemente
che è tutto apposto.
Per cui quando durante il mio ultimo ciclo
mestruale non ho smesso di sanguinare dopo i tipici sei giorni, ho subito
pensato che fosse la fine. Ovviamente, quando una persona come me ha la
reputazione che ho io, nessuno la prende sul serio. Ho chiamato invece la mia ginecologa
al decimo giorno di mestruazioni, e mi ha detto di fare un esame del sangue per
accertarsi che gli ormoni e il ferro fossero a livelli normali, e mi ha detto di andare da lei per una
visita di controllo. Cosa che feci, malgrado avessi ormai smesso di sanguinare. Dopo la visita ginecologica, che, dopo l'estrazione di molari senza anestesia,
è la cosa meno piacevole del mondo, mi ha detto che era tutto a posto, ma che per
prassi avrebbe richiesto di fare un'ecografia all'utero e anche una biopsia.
Per me è come se mi avesse detto: "Va bene, adesso ti mettiamo contro quel
muro lì e al tre in dodici ti spariamo con un kalasnikov". Non so come, ma
sono riuscita a fare quella che va tutto bene.
Due giorni dopo ero coricata sul lettino
dell'ecografia. L'ultima volta che ne avevo fatta una, si vedeva il cuoricino
di quel grumo di umanità che sarebbe stata Emma, e i suoi movimenti sincopati
nell'utero, ma questa volta niente cuoricino, solo strato su strato di tessuto
della parete dell'utero, che vi assicuro non è per niente interessante. Il mio cuore batteva a duemila al minuto, e
cercavo disperatamente di leggere l'espressione della persona che faceva
l'ecografia, per vedere di poter estrarre qualche informazione da lei, che mi
disse dal primo istante che era solo lì per registrare le immagini e non era
qualificata per diagnosticare niente. Ne avrà viste di pareti di uteri nella
vita, pensavo; saprà se c'è qualcosa che non va. Ho cercato di farle dire
qualcosa, ma niente di niente. A volte la professionalità degli altri mi irrita
profondamente.
Mi sono rivestita e sono tornata a casa, dove mi
sono fiondata nel bagnetto del piano terra a fumare e a dire a dio di non fare scherzi.
Due giorni dopo mi sono ritrovata senza calze e mutande,
ma con la maglietta, davanti a una ginecologa indiana che non avevo mai visto
in vita mia. Era la povera crista che mi doveva fare questa benedetta biopsia. Apro una parentesi e vi dico subito che continuavo
a confondere la parola biopsia con autopsia, per farvi capire il livello di
ottimismo che avevo mentre mi spogliavo lentamente.
La dottoressa, seduta
davanti a me (lei vestita, cosa che in queste situazioni offre un vantaggio
mica male), ha cominciato con il dirmi che l'ecografia
mostrava un ispessimento della parete dell'utero. Quindi se avessero trovato un
cancro, la cosa migliore sarebbe senza dubbio togliere l'utero. Diceva che di
solito questo tipo di cancro è localizzato e che forse non ci sarebbe stato
bisogno di fare terapie complesse, come radiazioni o chemioterapia. Oppure, se
non fosse stato cancro, avrebbe potuto essere una cosa pre-cancerogena, cioé con
soltanto alcune cellule impazzite. In quel caso, avrebbero iniziato una cura di
ormoni massiccia e controlli ogni tre mesi.
Io mi sono automaticamente messa a piangere
disperatamente, senza vergogna, e le mie lacrime stavano inzuppando la
copertina di carta che mi avevano messo sulle gambe per non rimanere proprio
nuda davanti a un'estranea. Tra un singhiozzo e l'altro le ho detto: "Io
sono ipocondriaca...", e lei mi ha subito chiesto se avessi preso dello
Xanax. No, questa volta no, le ho risposto asciugandomi le lacrime. A quel punto,
mi ha voluto tranquillizzare dicendomi che comunque è tutto molto raro, e che
sono anni che lei fa biopsie del genere ed è successo solo una volta che i risultati
avessero mostrato cancro o pre-cancro. Ma nella mia testa ormai ero spacciata.
Mi ha chiesto di coricarmi e di spalancare le
gambe, e mi ha infilato una specie di siringa lunghissima che strappasse per ben
tre volte del tessuto dall'utero, facendo tra l'altro un male della madonna. Io
a quel punto piangevo fortissimo. Al termine della tortura, mi disse di non
preoccuparmi, davvero, che appena avrebbe avuto i risultati mi avrebbe
chiamato. Di andare a casa e di prendere uno Xanax. Grazie, arrivederci.
Sono uscita dalla clinica che già avevo in mente
il discorso da fare ai ragazzi: "La mamma ha un cancro. È grave, ma la
medicina ha fatto passi da gigante, e con tutto il supporto e l'amore che
abbiamo, vedrete che riusciremo a superare anche questa". Ho pensato a
come sarebbe se io o Dan dovessimo morire giovani, e lasciare l'altro a gestire
la nostra famiglia, complessa e faticosa com'è. Ho parcheggiato la macchina
davanti a casa, ma non sono riuscita a uscire. Sono rimasta lì, seduta dalla
parte del guidatore, a cercar di capire come superare questi
giorni di attesa. Ho chiamato subito due mie amiche mediche italiane
e entrambi mi hanno detto di non preoccuparmi minimamente, perché è rarissimo
che sia davvero cancro.
Ma per me la parola rarissimo non vuol dire assolutamente niente. Luca, per esempio, ha
una sindrome di Down talmente rara che alcuni esperti di genetica ancora non ci
credono. Ricordo di aver deciso di non fare l'amniocentesi perché ero giovane,
sana e forte e la possibilità che il mio bimbo avesse la sindrome di Down era
tamente rara che non valeva la pena rischiare di compromettere la gravidanza. Mio padre è morto a 42 anni. Anche lì, relativamente
rara come cosa. Di ictus, che nessuno prima di lui aveva avuto in famiglia. Un
caso isolato, insomma. Per cui rarissimo per me è sinonimo di
probabile. Sono rimasta traumatizzata da quello che mi è successo nella vita
finora. In più sono ipocondriaca e nevrotica.
Ho passato due giorni di merda, a controllare la
mia email ogni dieci minuti. Ma niente. Ieri sera prima di andare a letto mi sono presa un
altro calmante, per dormire e per poter affrontare la giornata di oggi in caso
mi dicessero che la biopsia non era andata bene.
Il telefono è squillato alle 9:47 di questa
mattina. "Posso parlare con la signora Marina Viola?". "Sono
io" ho detto con un filo di voce strozzato di terrore. "Abbiamo i
risultati della biopsia. Tutto a posto."
Mi sono sentita come se mi avessero detto che
avevo appena vinto sei miliardi di dollari e che Hillary aveva vinto, e che
Martin Luther King era vivo e vegeto e stava giocando a briscola chiamata con
mio padre, al bar di fronte. Come se mi avessero detto che non avrò mai più
altri problemi nella vita.
Sono crollata sul divano, distrutta dalla
felicità.
"Io lo sapevo", ha detto Dan. Tutti lo
sapevano tranne me, a quanto pare. E la dottoressa indiana, quella che mi aveva
già data per spacciata. Ho fatto la doccia canticchiando Siamo Solo Noi, e
mi sono preparata per andare dall'oculista. Poi la settimana prossima vado dal
dentista, poi a Lourdes e poi dalla fisioterapista, per un problema alla
schiena.
E poi, niente, è Natale e ci vogliamo tutti bene.
Ecco, quando ti leggo mi domando come fai!!!!
RispondiEliminaIo lo xanax l'ho da poco abbandonato, ma lo zoloft resta saldo con me,a farmi compagnia ogni mattina! :-(