Su come mi manca










I cuccioli di cane, si sa, sono dei rompicoglioni: prima mangiano le scarpe, poi srotolano la carta igienica, poi rubano dalla pattumiera e poi vomitano sul divano bianco. Insomma, non ne fanno una giusta. L’unica cosa che li fa sopravvivere è quel loro sguardo innocente e dolcissimo che fa in modo che non vengano ammazzati entro il sesto mese di vita.

Ho incontrato Gus in un canile quando lui aveva due mesi e io avevo il cuore infranto per la morte dei miei due cani, Oscar e Lola, che amavo follemente. Andare in quel canile fu dettato dal vuoto della casa: d’un tratto salivo le scale e nessuno mi seguiva, d’un tratto andavo a letto e nessuno si metteva i miei piedi. Dopo la morte di Lola, il mio cane preferito ma anche il più impegnativo, mi ero detta che il prossimo sarebbe stato un cane tranquillo e non aggressivo, di quelli facili da portare a spasso. Poi scoprii che nel canile a un’oretta da me c’erano otto cuccioli nati da una mamma scampata alla morte per il rotto della cuffia. Senza neanche pensarci un secondo io, Emma e la sua amica Cece, che sogna un cane da anni, ci siamo messe in macchina per andare a vederli. Quando siamo arrivate ho subito spiegato che eravamo alla ricerca di un cane tranquillo, e mi dissero che quello con gli occhi verdi verdi era esattamente così, e che infatti era talmente tranquillo che lo avevano messo nella stessa gabbia di un altro cucciolo con una zampa rotta. Appena ci portarono il cucciolo, che allora si chiamava Prince come il nome della via in cui viviamo, ci vide e si pisciò addosso dalla paura, poi venne tra le mie braccia per cercare un po’ di conforto. Dopo ventisette minuti era nella mia macchina e stava entrato nella mia vita e in quella della mia strana famiglia. Si sarebbe chiamato Gus a sarebbe diventato il mio amico del cuore.

Da quel giorno io e Gus non ci siamo mai separati: abbiamo passato tutti i giorni e tutte le notti insieme. Mi fu detto che i pitbull sono cani stupendi se addestrati in modo giusto: socializzazione, regole chiare e precise, un po’ di severità. Dopo l’esperienza con Lola, che odiava tutti i cani, puntai sulla socializzazione: lo portavo tutti i giorni al parco per un’ora, per farlo giocare con tutti i cani della zona. Lui,bravissimo, ubbidiva e si divertiva. Chiamai Tom, il trainer che avevo usato per Lola, che mi diede i ‘compiti’ da fare con Gus, che feci religiosamente, tranne qualcuno che mi sembrava esagerato, tipo stabilire chi fosse tra noi due il capo branco. Per sei mesi non ho mai fatto una doccia senza Gus coricato sul tappetino del bagno, non sono mai uscita senza di lui, non l’ho mai lasciato solo, tranne quando sono andata in Italia per due settimane, quando lo lasciai in un posto stupendo in cui si divertì come un matto, a detta delle email e dei video che ricevevo ogni giorno.

Poi una sera che eravamo io, Dan, Luca e Gus, Luca si alza da tavola per andare in camera sua e passando davanti a Gus lo accarezza. Gus non lo morde nel vero senso della parola, ma mostra i denti e si lancia contro la mano di Luca, che a quel punto è fortunatamente lontana. Ci sale il cuore in gola. Lo avevo visto fare la stessa cosa con Michael, il padrone di June, un pittbull che io amo ma che è abbastanza aggressivo con gli altri cani e che Michael aveva portato davanti a casa nostra per farle conoscere Gus. Da allora, ogni volta che Gus incontra Michael, abbaia spaventato e l’ultima volta aveva cercato anche di mordergli la mano. Lo avevo visto fare la stessa cosa con Richard, che la settimana prima era venuto a salutarmi e che come sempre era entrato in casa e mi aveva abbracciato. Lo avevo anche visto fare con Tom, il trainer che era venuto per spiegarmi come fare a farlo smettere di abbaiare a ogni cane che passava. Quando quella sera lo fece con Luca io e Dan ci guardammo in faccia e in coro dicemmo con il magone: “Gus se ne deve andare”.

Poi un conto è dirlo e un conto è farlo. Passai una settimana bombardata di paura perché temevo che ogni persona che passasse di qui sarebbe stata morsa da Gus, come per esempio le amiche di Emma, a cui aveva ringhiato. Fortunatamente si erano chiuse in camera sua e non avevano notato niente. Cominciai ad avere momenti di ansia molto forti, attacchi di panico quotidiani, momenti di pianti inspiegabili. Intanto Gus aveva cominciato ad abbaiare ad ogni persona che passava davanti a casa nostra, e cioè sempre, dalla mattina alla sera. Era diventato impossibile portarlo fuori perché ogni cane che incontrava gli faceva che perdere il controllo. Io stavo diventando pazza.

Venerdì venne a trovarmi Richard. Mi trovò in stato semi confusionale, nel pieno dell'ennesimo attacco di ansia. Mi guardò con calma e mi disse: “Ci penso io”. Il giorno dopo mi chiamò sua sorella, una persona straordinaria e appassionata di cani, specialmente pitbull problematici. Mi disse che il suo ex marito, Bill, con con cui condivideva il loro rottweiler Bella, era un educatore di cani e che aveva saputo di Gus e sarebbe stato contento di adottarlo. Gli avrebbe insegnato “le buone maniere” e avrebbe poi deciso se tenerlo o se darlo a una famiglia di fiducia. Nella nebbia creata dall’ansia, dissi va bene, grazie.

Sabato pomeriggio arrivarono a casa nostra lei e Bill. Gus era agitato, frenetico, e appena vide Bill cominciò a ringhiare e lo morse. Bill mi chiese di portarlo a fare un giro lui da solo, e dopo cinque minuti ritornarono che Gus era tranquillo e Bill anche. “Non ti preoccupare, Marina, gli insegno io a comportarsi bene. Si capisce che è un cane pieno di paure, ma ti assicuro che con me andrà tutto bene”. Prese Gus e i suoi giochi, e se lo portò nella sua casa grande con un giardino enorme e con il suo rottweiler Bella, pronta a far capire a Gus di stare tranquillo.

Sono passati due lunghissimi, silenziosi, tranquilli e tristissimi giorni, con nessuno che mi segue per scale, nessuno che mi mette il muso sulle gambe per essere accarezzato, nessuno che mi guarda con quegli occhi lì. Ma anche con nessuno che abbaia incessantemente, nessuno che tenta di mordere Luca ogni volta che viene ad abbracciarmi, nessuno che sgranocchia le mie scarpe e distrugge i rotoli di carta igienica. In un certo senso l’assenza di Gus è una manna dal cielo, tanto che la mia ansia perenne sembra essersi stancata di stare con me, almeno fino al prossimo dramma famigliare. Ma oggi quando la terapista di Luca ha bussato alla porta  e nessuno ha abbaiato, i miei occhi si sono riempiti di lacrime. E stamattina quando mi sono svegliata e Gus non era con me, mi sono sentita tremendamente sola.

Stasera Bill mi ha mandato un video di Gus seduto sul divano che sgranocchia il suo gioco preferito e poi che gioca con la sua nuova sorellona Bella e per un istante mi sono sentita felice. Gus è in un posto che è giusto per lui, senza restrizioni da appartamento, senza l’incubo di non avere un capo branco (ho scoperto di non avere il profilo tipico dei cani alfa, malgrado io sia del maestoso segno del leone) e dover proteggere la casa tutto da solo.

Ma mi manca, mi manca in un modo indescrivibile, e il pensiero di poter salire in macchina e andare a riprendermelo mi fa impazzire. Per fortuna questa volta la battaglia tra istinto e ragione che è dentro di me la sta vincendo la ragione, altrimenti adesso ci sarebbe un cucciolo che mi segue fino a sotto le coperte.




Commenti

  1. Come ti capisco. Anni fa, quando il mio micio aveva due anni, ero nella tua stessa situazione. Micio Faceva paura: ringhiava, urlava, una furia se poi consideri l' agilità di un felino! Lui in soggiorno e noi chiusi in altri locali, la veterinaria gli ha prescritto delle gocce sostituite poi con gocce di valeriana e con tanta pazienza e tanto amore ha superato quel suo momento bruttissimo e con lui anche tutti noi. Ora ha compiuto diciotto anni, il mio micione.
    sinforosa

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