Come diventare stronza in dieci sedute








Sono un po’ di settimane che il martedì mattina lo dedico a Mollie, o meglio che Mollie lo dedica a me. È una psicoterapista dal viso dolce e irlandese e dalle camicette sempre strepitose, che giura che i miei sono problemi risolvibili e che basta un po’ di buona volontà e una vacanza da sola qua e là. 

Beh, martedì scorso parlavamo della mia incapacità di dire di no, anche quando non mi va di fare qualcosa, e della mia paura che un mio rifiuto provochi a chi lo riceve  amarezza, antipatia  e infine profondo disprezzo nei miei confronti. 

Mi rendo conto, le dicevo, che è un problema che mi ritrovo davanti ogni giorno, e che mi irrita profondamente. Per esempio, i miei pomeriggi, quando Emma è già tornata da scuola e sta in camera sua, a fare i compiti o a ascoltare le sue canzoni o a leggere, e Luca se ne sta nella sua di stanza, potrebbero essere dedicati al mio lavoro. Dopo tutto, alle quattro arriva la terapista, che lavora con Luca non solo in camera sua, ma anche in giro per la casa: Luca deve passare il battitappeto in sala, deve mettere via il suo bucato, deve fare gli esercizi che gli dà la fisioterapista. Poi a volte deve farsi la doccia (per imparare a lavarsi, asciugarsi e rivestirsi da solo), a volte deve imparare a bussare e ad aspettare che gli si dica “Come in!” A volte gioca con Emma a Jinga, un gioco con delle mattonelle di legno. 

Ogni volta che Luca finisce di fare un compito, ha diritto a un premio. Ultimamente, il premio sono io (vuole un abbraccio da me). Ora, sembra una cosa molto carina, dolce, ma in realtà è una rottura di palle mai vista. Vengo interrotta ogni dieci, quindici minuti. Quando poi fa la doccia, la nuova regola è che io devo stare nel bagno con lui e la terapista, in caso lei decida di toccargli il pisello, immagino, e devo rimanere con loro fino a quando è vestito. L’operazione dura una ventina di minuti. Poi quando impara a bussare, ci deve essere una persona con lui (che gli ricorda di bussare) e una persona dall’altra parte della porta, che dica “Come in!”, esercizio che deve fare dieci volte. E via di abbracci. In pratica, la terapia di Luca richiede che io sia sempre disponibile. È da quando Luca ha 4 mesi che è seguito da una terapista a casa, il pomeriggio, e sinceramente adesso, ventun anni dopo, mi piacerebbe anche riacquistare un po’ del mio tempo.

Il problema è che non sono capace di dire di no. Non so dirlo agli abbracci di Luca, non so dirlo alla terapista, che povera è qui per lavorare, mica si diverte. Non dico no neanche a Emma, che dopo mezz’ora che è in camera sua si rompe le palle e viene da me a dire: “io mi annoio…”.

L’unica persona a cui dico di no è me stessa, in pratica. In parte, forse, perché penso che il mio lavoro non sia un vero e proprio impegno, e quindi non è una buona scusa per dire di no.

Mollie ascoltava tutto questo mio sfogo, e poi, con la sua voce vellutata e con il suo sguardo rassicurante, mi ha detto: “Ma non devi avere una scusa per dire di no. Anche non fare niente è fare qualcosa. Anche quando stai in camera tua e guardi fuori dalla finestra, o leggi un libro o ti fai i fatti tuoi, stai facendo qualcosa”.

Mi si è aperto un mondo.

È un concetto semplice, quello che mi ha esposto, eppure gonfio di sensi di colpa, perché sin da piccola ho imparato che se non sono produttiva, vuol dire che perdo tempo. E invece Mollie ha ragione: il mio tempo lo gestisco come voglio, anche se significa che Luca invece dell’ennesimo abbraccio, viene premiato con una canzone di James Taylor, anche se non fa la doccia tutti i pomeriggi, anche se Emma è annoiata e non sa cosa fare.


Praticamente, pensavo, sto andando in terapia per imparare essere più stronza. 
Per ora i risultati sono poco rassicuranti, ma ho grande fiducia in me stessa.


(Nella foto non sono io, ovviamente. L'ho trovata su Google)


Commenti

  1. Riuscire a sfogarti anche qui be’... è già qualcosa. Forza e coraggio. Buona serata.
    sinforosa

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  2. Qualche volta questo dubbio viene anche a me. Ho sentito dei critici dire che la psicoterapia serve solo a rinforzare l'io, diventare più stronzi, come dici te. Ma in realtà questa frase contiene già un giudizio negativo, no? nei confronti di chi non è 24 su 24 a disposizione. Tu sei più giovane di me, ma anche tu hai interiorizzato un modello di madre che si sacrifica a vita, e certo l'hai anche rinforzato avendo Luca. Io avevo questo feroce giudice interiore, a cui però sfuggivo quando mi occupavo del giardino e dell'orto, diciamo della terra. Perdevo il senso del tempo, per fortuna, perché mi ricaricavo. Mi dimenticavo di quasi tutto, lavoravo e alla fie della serata mi incantavo a guardare la luce del sole che calando cambiava i colori delle foglie...Mi chiamavano dal finestrone di cucina "Mamma, che si mangia stasera?" Un pò di senso di colpa lo provavo lo stesso, sennò non mi ricorderei la domanda. Ci vuole uno spazio proprio, quasi inviolabile, per occuparsi di altri così impegnativi. Avanti! Un grande abbraccio.

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