Cinquanta tra ricordi, rughe e progetti
Malgrado i tatuaggi, le parolacce, il bicchiere di vino in più la sera, le minigonne anche se ho le gambotte, tra un mese compio cinquant’anni.
Si vede che non sono più giovane:
i capelli stanno diventando grigi, quando la mattina mi alzo dal letto mi fa
male la schiena, un’anca, il piede sinistro e la prima parola che esce dalla
bocca impastata ancora di sonno è ahia. Le mie mani sembrano più rugose, e
anche il collo e la fronte. Per non
parlare degli ormoni, che mi fanno fare talmente tanti su e giù con l’emotività
che a volte mi sembra di essere su una montagna russa.
Oltre ai capelli bianchi e al
male all’anca, avere cinquant’anni vuol dire avere accumulato un sacco di
ricordi. Ricordo ancora in modo vivissimo lo schiocco dei baci di mio papà, o
quando ballava in cucina, in mutande, per farci ridere. Ricordo me e le mie
sorelle quando giocavamo a negozio: Renata faceva sempre la farmacista, io la
banca e Anna la fruttivendola.
Ricordo quando mia mamma ci disse di aspettare
una sorellina e l’emozione forte di coccolarla quando è nata.
Ma ricordo anche il mio primo
bacio dato a Dan, in camera sua dopo aver visto un film della Wertmuller, e
quando, ridendo come un matto, si è inginocchiato nella cucina della nostra
prima casa nel New Jersey e mi ha chiesto di sposarlo. Ricordo il bellissimo
anello di fidanzamento, che era stato quella della sua nonna, e ricordo quel
test di gravidanza che annunciava la nascita di Luca e di una vita
completamente diversa da quello che ci eravamo immaginati.
Ricordo la sera che
ho saputo che mio figlio aveva la sindrome di Down, la telefonata fatta a mio
cognato in cui singhiozzavo talmente forte che credevo di morire.
Ricordo la
prima volta che mia mamma e mia sorella Anna hanno incontrato Luca, quando
ancora era semplicemente un neonato, senza diagnosi strane. Ricordo la
telefonata che ricevetti dal Massachusetts General Hospital che mi diceva che
avrei avuto una bimba e che avrebbe avuto il numero di cromosomi normale, e sette anni dopo, quando dissi a Dan che ero incinta di Emma: ero a Milano con Luca, lo chiamai
per dirglielo e lui all’inizio non disse nulla e poi, dopo un silenzio infinito
replicò: “Ti chiamo dopo”. Gli era preso un colpo. E invece guarda che ragazzi
straordinari che abbiamo, tutti e tre.
Ricordo quando ho deciso che fare solo
la mamma non era abbastanza, e mi sono iscritta all’università e sono riuscita
a laurearmi. O quando è uscito il mio
primo libro, quello su mio papà, e l’emozione di averlo in mano e pensare alla
magia del fatto che le cose scritte dal tavolo della cucina di Cambridge si fossero concretizzate in un oggetto.
Eppure, malgrado tutti questi
ricordi, non mi sento molto vecchia, perché di progetti e di idee ne ho ancora
tantissimi: ho appena consegnato un libro alla casa editrice , ne ho iniziato
un altro con la Sonzogno. Collaboro con alcune belle testate senza guadagnare
una lira, il ché mi permette di decidere che se un giorno non ne ho voglia,
invece di lavorare me ne vado al parco con la mia cucciola Fiona a fare delle
belle passeggiate o da un amico a chiacchierare e se voglio mi sveglio alle
dieci del mattino e cazzeggio fino alle tre.
E poi dentro di me sento di non
essere cambiata molto rispetto a quando ero ragazza: affronto sempre con un po’
di pigrizia ma con determinazione le mie paure, che a volte mi soffocano e ho ancora
i famosi dieci chili da perdere che avevo il decennio scorso. Rido ancora per
le scemenze, mi commuovo davanti a un sorriso di Luca o a una cena a lume di
candela sul terrazzino di casa. Mi incazzo quando invece di lavorare devo
pulire e mettere a posto la casa messa in subbuglio da tutti e lasciata da rasettare
a me. Mi diverto a portare fuori il cane, e ci rimango male se la notte non
dorme con me.
Sono una persona estremamente
fortunata. E anche un po' scema.
auguri, e grazie perché questo post è un regalo per noi che abbiamo la fortuna di leggerlo
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