Voglia di volare
Sono periodi un po’ difficili per noi: Luca sta per
terminare dieci incredibili anni nella sua scuola, Crossroads, che è una specie
di paradiso per persone autistiche a basso funzionamento come lui. Gli
insegnanti, i terapisti e tutto il personale sembrano appena usciti da una
favola. Il nove novembre sarà però il suo ultimo giorno: celebreremo tutti questi
anni di Luca, con tanto di cappellino americano di chi si diploma, discorsi, e
moltissime lacrime.
Poi inizierà un’altra fase nella sua vita, la più
lunga: diventerà a tutti gli effetti un adulto e passerà il resto delle sue
giornate in un centro diurno. Tra qualche anno, probabilmente si trasferirà
anche in una casa famiglia, dove imparerà a vivere in un appartamento senza la
sua mamma e il suo papà.
I centri diurni che abbiamo visitato variano
moltissimo l’uno dall’altro, ed è difficile capire in un paio d’ore quale sarà
il migliore per Luca. Ci si fida più che altro delle intuizioni, delle risposte sfuggenti
date da chi ci lavora. Si cerca di leggere il linguaggio silenzioso di chi li
frequenta da anni: uno sguardo, forse, o una carezza.
Sono dunque momenti in cui io e Dan ci sentiamo
particolarmente spaventati e fragili. Spaventati di dover mollare una corda che
abbiamo in mano da 22 anni che lo tiene stretto a noi, protetto. Chissà come
sarà quel primo giorno in un centro nuovo per il nostro Mr. Shmoo. Chissà come
reagirà a volti nuovi, spazi nuovi, richieste nuove.
L’altra sera sono andata alla festicciola per i nuovi
genitori nella scuola media che Emma ha cominciato a frequentare qualche
settimana fa. Parte della festa era all’interno dei giardinetti nuovissimi,
come il resto la scuola. Al centro c’è una costruzione molto alta, a cui ci si
deve arrampicare a delle corde. In cima, c’è una piattaforma con un buco da cui
parte uno scivolo molto alto, di quelli coperti, che sembrano un tubo.
Mentre passeggiavo per i giardinetti alla ricerca di
qualche viso conosciuto, ho visto la mia amica Sara arrampicata per metà tra le
corde e davanti a lui suo figlio Graham, che ha dodici anni e ha la sindrome di
Down. Come Luca e tutte le persone con quel cromosoma in più, anche Graham non è
esattamente quello che si dice un ragazzo agile. Si capiva che aveva paura, e
sua mamma continuava a dirgli di fare attenzione, che l’avrebbe aiutato lei. “No!”,
rispondeva lui, e con la lingua un po’ fuori dalle labbra si concentrava tanto
da diventare rosso. Ma lui voleva salire, arrivare alla pedana e poi scendere
con lo scivolo. I ragazzini attorno a lui lo raggiungevano e lo superavano tutto d’un
fiato. Lui ci ha impiegato tanto, si è sforzato moltissimo. Ma non si è dato
per vinto fino a quando ce l’ha fatta, momento in cui si è girato e ha urlato: “Mommy!
I did it!”.
Io, come sempre, piangevo.
Pensavo, lo vedi? Noi stiamo qui tanto a preoccuparci,
pensiamo che i nostri ragazzi siano sempre deboli, abbiano sempre bisogno, e
invece succede sempre così, siamo noi ad avere bisogno: ci stupiscono, ci fanno capire che loro hanno tutte
le intenzioni di arrivare fino in cima. Che loro, al contrario di noi, possono
anche aver paura, ma la superano.
Che loro, anche loro, hanno solo voglia di
volare.
Come sempre un bellissimo post. Buona notte.
RispondiEliminasinforosa
Sono gli esempi come questi che ti danno la forza e il coraggio di affrontare le avversità della vita affrontandole con serenità giorno dopo giorno.
RispondiEliminaAnche noi abbiamo passato periodi così, di transizione, e altri ne passeremo.Forza e coraggio, siamo con voi!!E in Francia non esistono ancora " paradisi" per persone autistiche, tutt'altro! Buona fortuna!
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