Le ultime volte










Le ultime volte sono difficilissimi da affrontare. Il loro essere così categoricamente la fine, definitiva, senza neanche la possibilità di un ritorno anche per sbaglio, abbattono la mia parte emotiva più profonda. A volte non sappiamo che stiamo vivendo un’ultima volta, e nel tempo, si ritorna a quell’istante, quando magari non si era riusciti a enfatizzarne l’importanza, e si cerca disperatamente di tenerlo strettissimo: l’ultimo abbraccio, l’ultima fotografia insieme, l’ultima volta che si è usciti insieme, l’ultimo viaggio.

Domani è l’ultimo giorno di scuola di Luca.

Lo so ormai da mesi, ma per qualche motivo, avevo deciso di non pensarci, tanto sembrava lontanissimo. Poi oggi Luca è tornato da scuola con lo stesso pulmino che lo porta avanti e indietro ormai da undici anni, e quando il guidatore, sempre lo stesso, sempre quello di duecento chili con l'accento bostoniano più forte del mondo, ha abbassato il finestrino, mi ha guardato e si è messo a piangere (“I will miss him so much!”), non ho resistito. Quando io e Luca siamo rientrati in casa, ho pianto un pianto silenzioso fra le braccia di Shmoo, che come sottofondo aveva scelto la canzone If It’s Magic, di Stevie Wonder, che fa piangere anche quando non c'è niente da piangere. Quando ha sentito umido sulla sua spalla sinistra, si è staccato da me, mi ha tolto gli occhiali e mi ha detto “Luca loves mommy! And mommy loves Luca!”. Poi mi ha riabbracciato forte, e io pensavo, 'che dolce', ma era stretto per cercare di aprire la porta del frigo con l'altra mano per rubarsi il secondo bicchiere di latte.

Sono pochi, in realtà i cambiamenti da affrontare con un figlio disabile: a tre anni iniziano la scuola, che finisce a 22, quindi per un bel po’ si sta tranquilli (relativamente parlando). Poi a 22 vanno in un centro diurno, dove resteranno per sempre. In quel periodo, quando si è pronti, andranno a vivere in una casa famiglia. Luca farà quel passaggio tra un paio di anni, mentre la maggior parte delle persone disabili lasciano anche la loro casa quando iniziano il centro diurno. Io sono troppo mamma italiana per fare tutto in un colpo, per cui, andando contro tutti i consigli degli esperti, me lo tengo ancora qui con me per un po’. Tutti questi passaggi richiedono un’incredibile forza d’animo da parte di noi genitori, perché ogni volta bisogna cominciare a fidarsi delle persone nuove che si occupano dei nostri figli, convincersi che sono brave e che li trattano con la dignità e la professionalità dovuta. È questo, in realtà, il nodo del discorso: non ci si fida mai al 100% per almeno i primi mesi, poi si comincia, poco a poco, a sentirsi meno terrorizzati fino a quando, molto tempo dopo, ci si pensa più raramente. Non va mai via.

Quello che mi spaventa di più è che senza la scuola di Luca mi sembra di non avere più il supporto, l’affetto e l’impeccabile professionalità che i suoi insegnanti hanno saputo dare. Di loro mi fidavo molto. Adesso che Luca non va più lì, mi sembra di non avere più la terra sotto i piedi. Adesso siamo da soli, a parte un centro diurno che è anche bello, ma è tutto un altro paio di maniche. Il suo autismo mi sembra tutto ad un tratto insormontabile, enorme, impossibile da affrontare da sola.

Una cosa che invece mi fa piangere ogni volta che ci penso, è che lui probabilmente non ha capito cosa significhi l’ultima volta: lui, come tutte le persone autistiche, vive il momento, senza collegarlo al passato o al futuro. Per cui è quasi impossibile spiegargli che ha 22 anni, anche se lui crede di averne 14, perché quando ne aveva 14 gli hanno insegnato a rispondere alla domanda “How old are you?”, e che quindi non può più restare a Crossroads e deve andare al Walnut Street Center, dove la routine è diversa, le cose che gli verranno richieste di fare diverse, le persone diverse, lo spazio diverso e tutto il resto, tutto tutto, sarà completamente diverso. Lo so, è solo una questione di tempo: si abituerà e gli piacerà, ne sono convinta. Ma permettetemi di essere emotiva, perché se la razionalità uccide tutte queste paure e ansie, allora a cosa servono le ghiandole lacrimali? O no?

Quindi, questa ultima volta di Luca a scuola sarà carica di undici anni di affetto che non ci sarà più e dalla pesantezza di dover girare la pagina e iniziare un’altra avventura. 

Luca, ancora una volta, e non sarà certo l’ultima, ci stupirà e ci darà la forza di andare avanti comunque.




Commenti

  1. Si consoli cara Marina, che quando Luca si sarà ambientato avrà comunque un percorso di assistenza per la vita. In Italia abbiamo sempre e comunque il vuoto, insieme alle lacrime.

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