A duecento metri giri a destra


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Roma è bellissima. Sembra quasi di essere in un film. Siamo arrivate martedì a mezzogiorno, io e mia sorella Serena, e dal momento in cui siamo scese dal treno, abbiamo girato come delle trottole, accompagnate da una bellissima Rosanna, ufficio stampa di Sonzogno, tra radio, televisione e presentazione del libro. L’affetto che si trova nelle città in cui non si vive lo si apprezza con maggiore entusiasmo e con sorpresa.

Il giorno dopo, prima di partire per tornare a Milano, abbiamo passato un paio d’ore nello studio di Radio24, dove il mio caro amico Gianluca Nicoletti, con tanto di figli, ci aspettava per una bella intervista. Poi siamo andati tutti (Gianluca, Filippo e Tommy compresi) alla stazione Termini, dove abbiamo mangiato sorprendentemente bene, e ci siamo salutati. Loro andavano a Reggio Emilia per iniziare a girare il loro secondo film, Serena a Bologna e io a Milano.
Dopo aver osservato per più di tre ore un signore distinto seduto di fronte a me che giocava bellamente con le sue caccole raccolte dal naso (suo, almeno), sono arrivata alla Stazione Centrale con una sola ora di ritardo.

Arrivare alla Centrale per me è sempre una cosa bella. ne aveva scritto mio padre molti anni fa, dell’elegante fascino della stazione, e chissà, forse per DNA o forse perché aveva proprio ragione lui, anche io quando sono sul treno che rallenta per poi fermarsi sotto la grande cupola di vetro, un po’ mi emoziono, e penso che Roma è bella ma Milano di più.

Ho chiamato mia madre verso le sette emmezza di sera per dirle che avrei preso un taxi e sarei arrivata presto per mangiare insieme, e mi sono aggiunta alla lunga fila che si era formata davanti alla stazione dei taxi per aspettare il mio turno e arrivare finalmente a casa. A parte un signore anziano, senza dita e senza gambe che suonava l’armonica (tre note ripetute all’infinito) in cambio di qualche moneta, l’attesa è stata abbastanza breve. Da lontano ho visto un taxi che si era fermato un po’ più in là e una donna davanti a me che ci era salita, ma poco dopo era uscita. Il taxi, che era a metà tra le due file e che stava bloccando il passaggio dei suoi colleghi che imprecavano, è rimasto vuoto, per cui ci sono andata io.

Mi sono seduta su sedile di dietro e ho detto: “Buonasera, Via Sismondi 36, per favore". Al volante c’era una donna sulla sessantina, con il sedile praticamente attaccato al volante e gli occhiali spessissimi che mi guarda e mi fa: “Forse non ha capito, ma io non so neanche dove sono! Si figuri se so dov’è la via Sismondi! Questa è la mia prima corsa. Ho fatto l’esame la settimana scorsa, ma sono completamente nel pallone!” Lo diceva mentre il suo navigatore, impazzito, continuava a dire: “Tra duecento metri, giri a destra!”.

Ecco, mi dico. Solo a me poteva capitare una roba del genere.

“Lei sa come arrivare? Perché io non ci capisco più niente!”. Prima di tutto, spenga il navigatore, perché se gira a destra che è un senso unico ci sfracelliamo, le dico sorridendo. “Si è rotto! Io non ci capisco niente! Se mi dice ancora una volta di girare a destra lo spacco”. Le spiego che deve girare a sinistra per viale Tunisia. Imprecando, arriva in viale Tunisia, come le avevo spiegato. Dopo cinque minuti, mi fa: “Oddio, mi sono dimenticata di accendere il tassametro. E adesso?”. Lo accenda, le dico. “Aspetti che mi devo fermare perché non mi ricordo come si fa”.

Chiamo mia madre e le dico che arrivo un po’ più tardi, capendo che sarebbe stata una roba lunga. “Comunque, al corso mi hanno detto di non farsi prendere dal panico e al limite di chiedere la strada al cliente!”, mi dice girando a sinistra invece che a destra, come le avevo detto.

“A duecento metri, giri a destra!” insiste sempre più incazzato il navigatore.

“Ma non può almeno abbassare il volume del navigatore?”, le chiedo. “Ma che ne so io come si usa ‘sta roba! Ho una macchina di vent’anni, si figuri cosa ne capisco di questa che è moderna! Non ho la più pallida idea di come funzioni! Mi scusi, signora, davvero”. Dice che di giorno è più facile perché almeno legge i nomi delle vie.

“Occhio, che quello sta facendo dietro marcia!”, le dico per evitare di fare anche un incidente. Arriviamo, non so come, in piazzale Susa. “Non so neanche dove siamo!”, mi dice. Le spiego che è tra viale Romagna e viale Campania. “Ah sì, la circonvallazione, vero? Questo me lo ricordavo!”. “Brava!”, le ho detto. A quel punto ero fiera di lei!

“Tra duecento metri, giri a destra! Insiste il navigatore, che a quel punto avrei voluto sfracellare io, con la testa.

Le spiego di girare a destra in Battistotti Sassi, di fare la piazza Adigrat e di arrivare in Via Sismondi. Finalmente ci siamo. Non al 36, ma le dico di accostare che va bene lì. Siccome il tassametro non era mai partito, non voleva farmi pagare, ma ho insistito e le ho dato quindici euro, tenga pure il resto.

“E adesso che lei se ne va, io cosa faccio io? Dove vado?”. “Non lo so, signora, ma stia tranquilla!” Le ho consigliato di chiamare un collega, che io di come funzionano i taxi a Milano non me ne intendo, ma le ho spiegato a grandi linee dove eravamo. Le ho anche consigliato di spegnere e riaccendere il telefonino e anche la macchina che a volte in navigatori si inceppano, ma basta riaccendere che poi funzionano. “Sono talmente nel pallone che non mi ricordo neanche come si fa a spegnere ‘sto aggeggio. Signora, mi dica che andrà tutto bene! Mi dica che mi porterà fortuna! Ma io adesso cosa devo fare?”.

Le ho dato una pacca sulla spalla e l’ho assicurata che il primo giorno è sempre difficile, anche se non mi sembrava convinta. Neanche io, a dire il vero, ci avrei messo la mano sul fuoco.

"A duecento metri, giri a destra!", ripete ormai senza più crederci neanche lui, il navigatore.

Ci siamo salutate e mi sono incamminata verso il 36. Prima di mettere la chiave nel portone, mi sono girata. Era ancora lì, più in mezzo alla strada che vicino al marciapiede, e una macchina le aveva appena suonato il clacson che quasi la prende in pieno.

Stamattina, quando sono andata a prendere la Settimana Enigmistica, temevo di vederla ancora lì, a provare a spegnere e accendere il telefonino. Ma noi donne, che paura non abbiamo, siamo forti e coraggiose e anche lei se ne sarà andata, a cercare un cliente milanese a cui chiedere come arrivare a destinazione.

Le ho voluto molto bene.



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