Ho pensato che penso troppo




Mia mamma crede agli angeli custodi, e crede anche che salvino la vita a Luca ogni volta che ne fa una delle sue. Io no: non credo che siano gli angeli custodi a salvargli la vita. Credo invece che finora siamo stati molto fortunati che non sia ancora morto. Ma che potrebbe benissimo succedere da un momento all’altro.

Ieri pomeriggio Dan e Luca sono partiti per Becket, mentre io e Emma siamo rimaste a Cambridge: sabato e domenica ospitiamo June, il dolcissimo pitbull di miei vicini che ha quindici anni e ha un tumore maligno. Ieri sera, mentre guardavo un documentario avvincente,  Dan mi telefona Dan con voce allarmata: Luca aveva scambiato la bottiglia di candeggina con quella del latte, se ne era versato un bel bicchiere e stava per berlo. La coincidenza, l’angelo custode o la fortuna hanno fatto sì che Dan, che stava guardando la tele, si girasse nell’esatto istante in cui Luca stava portando il bicchiere alla bocca. Non è successo nulla, ma avrebbe potuto succedere una disgrazia.

Mi è subito venuta in mente la volta in cui lo trovai nella piscina, apparentemente privo di vita. Se mi fossi fermata a far pipì, se avesse squillato il telefono, se avessi deciso di lavarmi i denti invece di andare a cercarlo, sarebbe morto. Questa volta è successa la stessa cosa: se Dan fosse stato in un’altra stanza, se non si fosse girato, chissà cosa sarebbe successo. La vita delle persone autistiche è legata a un filo talmente sottile, talmente debole, che davvero basta una svista perché si trasformi in tragedia.

Questo aspetto, più di tutti gli altri che si presentano quando si convive con Luca, è a mio parere il più spaventoso. Ci saranno altre mille volte in cui accarezzerà la morte così da vicino da poterla vedere negli occhi, senza neanche accorgersene: per strada, in casa, al centro che frequenta. E tutte quelle mille volte ci dovrà essere una persona talmente vigile da strapparlo via dal pericolo. Solo che, ovviamente, non è detto che ci sia sempre qualcuno vigile, pronto a salvare la situazione.

I genitori, come dire, normali, hanno provato spesso questi brividi, ma poi i figli crescono e non si pensa più a certe cose. Per noi, invece, rimane un incubo costante e infinito, che ci logora e ci invecchia precocemente.

Come quasi sempre, la colpa è in parte nostra: malgrado tutte le volte che queste cose succedono, ancora lasciamo in cucina la bottiglia di candeggina; lasciamo la porta chiusa, ma non a chiave, e lui esce; lasciamo che le persone del centro lo portino in gita senza preoccuparci più di tanto; lo mettiamo in macchina senza chiudere a chiave la portiera (è capitato più volte che l’aprisse in autostrada). Ma, a parte quando queste cose succedono, davvero si fa in fretta a distrarsi, a pensare che figurati, mica si beve la candeggina. Figurati, mica si butta in piscina da solo.

Ieri sera, quando sono andata a letto, senza riuscire ad addormentarmi, ho cercato di stilare una lista dei pericoli potenziali che circondano Luca e a cui noi non abbiamo pensato. Le scale? L’acqua che diventa troppo calda in doccia? La finestra in camera sua? Ma anche: l’olio bollente quando cuciniamo? L’acqua per la pasta? Dove sta il prossimo pericolo? Dove si nasconde? Come si fa, insomma, a prevenire quello che potrebbe essere mortale per lui e non per noi? E ancora: come si può vivere serenamente sapendo che un errore banale, una svista potrebbero significare un disastro? E infine: che tipo di genitori siamo se non riusciamo ad assicurarci che nostro figlio non faccia una stupidaggine? Come facciamo a inculcare ai nostri figli quella sicurezza innata che i genitori offrono se non siamo in grado di averla neanche noi stessi?

Dopo tutti questi pensieri negativi, ieri sera ho pensato che a volte penso troppo. Ho pensato di pensare di dormire, invece che pensare pensieri che mi mettono ansia.

E così, pensando a tutti questi pensieri, ho ringraziato l’angelo custode di Luca (perché, ho pensato: non si sa mai, meglio non farlo arrabbiare) e mi sono stranamente addormentata.




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