Tra l'alloro e il rosmarino







Oggi ho scritto un post per il blog che era cattivo, pieno di rabbia e di dolore e, qualche minuto dopo averlo pubblicato, mi è venuto il dubbio di aver fatto una cagata pazzesca. Riguardava - lo scrivo perché mi serve per spiegarmi - un passato lontano che ha a che fare con mio padre e il suo lavoro, storia di cui tra l’altro non conosco bene i dettagli.

Ho chiesto, tra gli altri, il parere del mio amico Giorgio, a cui l’ho mandato da leggere. Ha risposto che si tratta di cose accadute molti anni fa, ormai lontane che quella generazione è ormai anziana, spaventata, con gli acciacchi. Perché, dopo quarant’anni e passa, dovrei tirare su tutto 'sto polverone che in fondo non mi riguarda? Perché entrare così prepotentemente in beghe di mio padre? E poi perché scriverlo in generale? Cosa si può ottenere da tanta rabbia? Anche Anna, mia sorella, che ho contattato quasi subito, mi ricorda che comunque papà si è divertito, e ha voluto bene a tutti. Se non aveva detto niente lui, vuol dire che gli andava bene così.

Ma la sorpresa viene quando entrambi mi propongono, se proprio voglio parlarne, un’alternativa che in tutti questi anni non avevo mai preso in considerazione: il perdono. Se proprio vuoi fare un gesto importante, potresti perdonare, dice il Giorgio. Io sono cattolica e credo fortemente nel perdono, mi risponde Anna. Mi sono bloccata davanti allo schermo del computer senza sapere come rispondere. Il perdono: perché non mi era venuto in mente di considerare un concetto tanto semplice? Perché l’istinto è stato di attaccare, di ferire? E da dove viene tutta questa rabbia che mi fa dimenticare di avere alternative? Sono davvero così stronza e acciecata dalla rabbia da non averci pensato neanche lontanamente?

Ho spento il computer  e, pensierosa, sono andata a fare la doccia e iniziare la  mia terza giornata a Becket da sola. Ma sono rimasta tutto il giorno a pensare.

Chi mi conosce lo sa: non mi incazzo facilmente, e le poche volte che succede, poi si torna amici come prima. Ho sposato un uomo molto tranquillo, calmo e ogni volta che discutiamo, lo facciamo senza alzare troppo la voce e (quando ci riesco) pesando le parole. Chi ci viene a trovare commenta sempre dell’atmosfera serena che c’è in casa nostra. Delle mie sorelle, sono quella che si arrabbia meno. Loro sono più battagliere, dirette e se devono dire una cosa, la dicono. Non temono il confronto e men che meno il tono della voce. Io, invece, sono l’opposto. Infatti, fin da piccola scrivevo le letterine ai miei genitori per dire che le sorelle litigavano e a me veniva sempre da piangere.

Ma questa volta, quasi cinquantaduenne, il fatto non aver pensato al perdono mi ha preoccupato. Per di più per una cosa che non mi riguarda direttamente, e che riguardava invece un mondo che non mi appartiene, quello di mio padre, il quale sembrava perfettamente a suo agio con la situazione. Insomma, per ore sono andata avanti a pensare che fossi veramente una stronza.

Ma poi, mentre ero in macchina per andare alla discarica (che era chiusa), ho anche pensato che forse tutta quella rabbia lanciata contro altro, contro altri, è invece solo dentro di me e diretta altrove pur di non spararla contro un vuoto impossibile da riempire. Rabbia perché mio padre non c’è più, rabbia per essere cresciuta in una famiglia incompleta. Dolore per non aver potuto confrontarmi con lui da grande, per non aver condiviso nulla con lui da adulta. Forse, il perdono significherebbe tagliare uno degli ultimi fili sottilissimi che ancora legano mio padre a me. Forse dentro di me penso che condividere una rabbia sua (presunta, ripeto: quasi sicuramente inesistente) allora significa che in qualche modo abbiamo ancora delle cose da condividere.

Adesso è sera e, siccome, come dicevo, sono a Becket da sola, mi accendo una sigaretta in casa. Spenta la cicca, la noia mi impone di riorganizzare le spezie che abbiamo sulla mensola della cucina. Mi dico che se lo faccio, poi mi posso aprire la bottiglia di bianco fresca in frigo. Tra l’alloro e il rosmarino mi viene quello che spero sia l’ultimo pensiero di questa giornata altalenante: il mio sogno è di svegliarmi un giorno e non sentire più nessun legame con mio padre, di volare libera senza il peso di una morte che ormai avrei dovuto digerire da anni. 

E, chissenefrega, perdono. 

Perdono anche me stessa per aver volutamente scelto il bicchiere più grande che abbiamo, e mi verso un dolce Pinot Grigio.

P.S: Perdonatemi per questo sfogo. Vi prometto che lunedì chiamo la terapista.




(Foto trovata a cazzo su Google)


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