No dai, non chiedermi di Luca



Dopo più di vent’anni passati a lottare ferocemente per l’inclusione e i diritti delle persone disabili, mi sono ancora ritrovata in difficoltà. Fino a quando sono andata dal parrucchiere.

Capita spesso, a dire la verità, ma questo è solo l'ultimo esempio.


L’altro ieri ero al supermercato, quello che un uovo costa sei dollari. Fatta la mia spesina, vado a pagare. Oltre la cassiera, c’è una signorina giovane che prende le buste vuote che ho portato da casa e me le riempie. Lo so, in America è così: una figata. 

 

Comunque, aprendo una delle buste cade una lente di un vecchio paio di occhiali di Luca. È la lente che ho cercato per mesi, prima di darmi per vinta e, con i fottoni, comprargli l’ennesimo paio. “Ah! Ecco dov’era finita!”, dico alla signorina. “Mio figlio perde sempre occhiali e lenti. È un disastro!”. Lei sorride, mettendo nella borsa un pezzo di formaggio da trenta dollari come se fossero delle sottilette. “Eh, sa”, mi dice lei che, inter nos, avrà vent’anni e che cazzo ne sa di bambini: “i bambini devono imparare. Quanti anni ha suo figlio?”

 

Merda, penso. Adesso devo stare lì a spiegare che ne ha 24, ma che è autistico a basso funzionamento e c’ha pure la sindrome di Down. E che no, non imparerà mai perché ormai abbiamo perso la speranza. Malgrado gli anni di terapia lui gli occhiali li sfascia e basta, ma non perché è aggressivo, si figuri. 


Poi mi tocca guardare la faccia finto triste della signorina. Finta perché più che tristezza il suo è l’imbarazzo di avere chiesto una cosa apparentemente semplice e adesso le tocca affrontare questa conversazione che nessuna delle due ha voglia di fare. Ero venuta qui per comprare due cose e adesso mi ritrovo a consolare ‘sta signorina che lavora per undici dollari all’ora lordi, per cui dopo le tasse, sono tipo sei dollari. 

 

Mi tocca anche dirle che no, avere un figlio disabile non è una cosa triste: Luca è una persona felice e lo sono anch’io. Lo so che non sembra vero, ma è proprio così: è un rompicoglioni pazzesco, ma è la persona più dolce al mondo, e che guardi, sta meglio di me, le assicuro. Insomma, devo stare lì a giustificare perché quella lente è lì e perché un ventiquattrenne rompe sempre gli occhiali. Oppure, potrei dire che ho un figlio di quattro anni, e la farei finita lì. Ma mi sento un po’ di tradire Luca e chi è come lui: perché nascondere la sua strana e interessante diversità? È la signorina che fa domande, mica io… Poi con tutti questi capelli bianchi, non ci crederebbe mai che ho un figlio di quattro anni, e preferisco passare per stronza che per nonna, per carità. Insomma, ho esitato un quarto di secondo e poi le ho risposto: “Ha 24 anni, è disabile” Lei fa, ovviamente, quella faccetta che a me fa venir su un nervoso che non riesco a mandare giù, ma che poi mando giù sempre. “Awww, mi spiace”. Anche a me spiace, signorina. Mi spiace averla messa in imbarazzo. La prossima volta ci pensa due volte a fare domande del cazzo.

Prendo la mia spesa e me ne vado, con un sorriso finto.

 

Poi il giorno dopo vado dal parrucchiere. Da anni vado sempre dalla stessa persona che si chiama Carmela ma qui la chiamano Carmy perché fa più figo.

Si comincia a chiacchiera del più e del meno. Mi chiede se mi piace la spiaggia, dico che no, mi fa cagare, ma mi piace la campagna. Che il fine settimana andiamo a Becket. “Ah ti piace fare le passeggiate?” No, rispondo. Non dico che non le faccio perché prova a te a convincere Luca a fare una bella passeggiata in campagna. “Con chi vai?”, mi chiede Carmy mentre mi taglia i capelli in modo magistrale. Con la mia famiglia, dico, ma ormai ai miei figli non piace andare perché l’internet fa schifo, rispondo. Me la sono cavata, dai. Non si parla di Luca. “Ah che bello! Allora tu e tuo marito vi fate dei fine settimana romantici!”.


No, Carmy. I nostri fine settimana non sono per niente romantici: di piselli vedo solo quello di Luca, che si presenta in sala sempre senza mutande. Io e Dan alla fine della giornata siamo troppo stanchi per fare all’amore. Ci accontentiamo di un bicchierino di whisky (o due. A volte tre) e a nanna. “Beh, non molto. Andiamo con nostro figlio Luca che ha 24 anni e che è autistico”. Merda, ci risiamo.

 

Il viso di Carmy si illumina e tutta contenta mi dice: “Ah! Anche mio cognato è autistico! Ha una trentina d’anni e sto imparando a conoscerlo meglio. Secondo me, anche se non riescono a comunicare, sotto sotto gli autistici sono dei geni. Mio cognato, per esempio sa tutto di sport. Tutto: i risultati di cinquant’anni fa, i giocatori. Tutto. E tuo figlio di cosa si interessa?”

 

No vabbè, io la Carmy la amo. “Musica”, dico io, e le racconto di Luca. Lei tutta felice di avere una cosa in comune con me, mi fa una pettinatura che domani mi invitano a fare un film, me lo sento.

 

Esco da lì che mi sento fighissima e felice.




Nella foto: io stamattina, dopo aver speso un occhio della testa da Carmy ieri. 

Commenti

  1. Scopro adesso questo blog, rimbalzando da un post su Facebook di Gianluca Nicoletti. Questo è solo un commento per salutare visto che vivo anche io a Boston, non ho nulla di intelligente da dire. Continuo a leggere.

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