Solitudine, quella sconosciuta

 



È finito ieri sera il piccolo periodo passato a Becket da sola, cioè senza figli e marito, ma con i miei due cani, Fiona e Rosie. Gli obiettivi di questo periodo di solitudine erano diversi: avrei potuto lavorare senza interruzioni, avrei potuto essere lasciata in pace da Luca e dalle sue ossessioni nei confronti dei miei capelli e della mia testa, avrei potuto occuparmi di me e infine avrei goduto della casa tutta per me.


Sono stati giorni meravigliosi: pur non avendo scritto un rigo, ho pensato molto ad alcuni progetti che mi interessano e che vorrei proporre, ho pulito la casa che adesso sembra la stanza di un albergo di cinque stelle, ho fatto delle lunghe passeggiate con Fiona e Rosie nel silenzio delle strade non asfaltate di Becket. Il lago più grande è circondato da bellissime casette, tutte nascoste tra gli alberi e ho percorso la lunga strada che lo circonda senza neanche vedere una persona e men che meno un orso. In compenso, però, ho visto molte oche canadesi schiamazzanti per via dei cani che avrebbero voluto prenderle per il collo.


Una cosa non è successa, ma lo sapevo da subito: non sono riuscita a sentirmi sola. Non sono mai riuscita a sentirmi sola nella mia vita, perché appena non c’è nessuno attorno a me, spuntano nella mia testa persone che conosco e che mi fanno compagnia. Basta poco: una foto su WhatsApp di un mio ex fidanzato con sua cugina, a tavola e puff, eccoli lì con me, tutti e due. Non ci sono, ma ci sono nella mia testa, e me ne accorgo perché comincio a parlare con in cani in italiano, facendo battute un po’ buffe che loro (i cani) non colgono, ma i miei due ospiti sì. Li porto a fare una passeggiata, li porto al supermercato; mi fanno compagnia mentre cucino e mentre mangio. Poi mi arriva un’email di un amico, che scaccia i due ospiti per farsi spazio lui, nella mia immaginazione e nella mia realtà virtuale. Lui è americano, e quindi cambio immediatamente lingua. Cerco su Spotify le canzoni che potrebbero piacergli e le cantiamo insieme, io ai cani e lui a noi. Anzi, se sono in macchina con un amico americano e sto ascoltando la mia playlist di musica italiana, la cambio immediatamente per non farlo sentire escluso. 


È questa una cosa che faccio da quando sono piccola, e è talmente intensa che molti dei miei ricordi di cose fatte da sola, ma con un amico nella mia vita irreale, me li ricordo con quella persona. È addirittura capitato che dicessi a qualcuno: “Ma ti ricordi? Eravamo insieme…” e invece no, io ero con loro ma loro non erano con me. Cioè, nella vita reale, perché quando sono con me sento fortissima la loro presenza e anche il loro interesse per quello che faccio.


Lo so, dovrei parlarne con il mio psichiatra, quello che sembra un lord inglese da come si veste e dal sorriso che ha. Ma in un certo senso è qualcosa che voglio tenermi sempre con me, perché l’idea di non avere nessuno di fianco a me mi farebbe venire una tristezza infinita.


L’ospite che ho avuto più spesso è, ovviamente, mio padre. Siccome è morto prima di tutta la tecnologia di cui adesso non possiamo fare a meno, mi sono ritrovata a spiegargli, a voce alta, cos’è un iPhone e come si usa: le app, i messaggi, l’email, ma che si può anche usare invece di andare in banca, si può usare come contatore di passi, macchina fotografica, radio, sveglia, trainer per fare ginnastica, televisione, e molte, molte altre cose. Deve essere difficile per persone come lui, morte da tanti anni, capire certi concetti, e infatti mentre gli spiegavo tutto, ho avuto come la sensazione che stesse piangendo, forse perché mentre gli iPhone propone mille metodi per comunicare, lui non ha strumenti per poter parlare con me. L’ho rassicurato, dai che tra poco ci saranno app anche per quello.


Non sono la sola in famiglia ad avere questa mania di non sentirmi sola. Mia mamma, per esempio, che vive sola da anni, parla con le fotografie: mi ha spiegato che dopo tanti anni, l’altro giorno ha detto alla fotografia di sua suocera che è arrivato il momento di darsi del tu. Quando succede qualcosa, parla alla foto di mio padre, commentando con lui ogni dettaglio. “Certo che non sono sola”, dice quando le ricordo che sono solo foto. Le mie sorelle pensano che sia pazza, invece per me ha senso. Tanto che quando sono da mia mamma sento sempre rumori o cose strane che mi spaventano: una luce accesa in sala di notte, qualcuno che apre il frigorifero, qualcuno che accende la tele. Poi la mattina lo racconto a mia mamma, la quale dice, ma certo!


Insomma, non sono mai sola. Mai. La cosa positiva di queste bellissime esperienze è che nessuno mi tocca i capelli e nessuno litiga o non è contento della cena o altro. 


E soprattutto, ho sempre ragione io.

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