Ieri sera ho ucciso un cervo






Ieri sera ho ammazzato un cervo.

Dan e Luca sono tornati a Cambridge domenica, ma io sono rimasta a Becket, perché giovedì è la festa del ringraziamento, e non avevo voglia di fare avanti indietro due volte.


Ieri era martedì, e ho deciso di andare a Pittsfield per comprare dei bicchieri da vino per la cena di giovedì.  Pittsfield è a circa quaranta minuti da casa, quindi prima di andare ho portato i miei cani a fare una bella passeggiata. Sono uscita di casa che erano le quattro.


Ci sono due strade per arrivare a Pittsfield: una passa per tre paesini, ed è una strada molto bella. L’altra, invece, è su una collina: prima vai su e poi vai giù. Una strada lunghissima, tutta tra i boschi. Dan dice sempre che gli ricorda la strada della prima scena di Shining, e infatti ha ragione. Non la faccio quasi mai, ma non so perché ieri ho deciso di prendere quella strada all’andata e l’altra al ritorno.


Sono arrivata al negozio che era già buio. È uno di quei mega negozi americani, che vende di tutto, dallo spillo alla bomba atomica. Dovevo comprare dei bicchieri, e sono uscita con tre sacchettoni di roba: pantaloni e magliette per Luca, due pigiami per me, calze per Emma e Sofia, regalino a mia nipote Isa che viene giovedì. Con una specie di senso di colpa per aver comprato cose di cui in realtà potrei benissimo fare a meno, mi fermo al supermercato vicino a prendere del vino bianco per farmi un risotto.


Poi mi rimetto in macchina, ma sbaglio strada per  caso mi ritrovo nella stessa strada desolata dell’andata. Si chiama Washington Mountain road. A questo punto era buio pesto. Inizio la salita, ma vado piano perché è una strada che non conosco bene, e più di una volta ho incontrato orsi e cerbiatti. Faccio la quarta curva e in mezzo alla strada passa un cervo. Era bellissimo, maestoso, fiero, con delle corna stupende. Abbiamo fatto in tempo a guardarci negli occhi. Lui sembrava calmo, quasi sorridente. Io ho sterzato e frenato immediatamente, ma il cervo, invece di stare fermo dov’era ha continuato a camminare verso l’altra sponda della strada. 

L’ho beccato in pieno. Lui è caduto e faceva dei versi mentre muoveva la coda. 

Poi, silenzio.


Io, in macchina, piangevo dalla paura e dall’orrore di aver ucciso un animale. Non sapevo cosa fare, quindi ho chiamato Dan, che sentiva male perché praticamente non c’era campo e ho aspettato di calmarmi e sperato che passasse qualche macchina, per chiedere aiuto. In realtà, sono passate due macchine, io mi sono sbracciata per fermarle, ma sono passate senza neanche frenare. Stronzi, saranno sicuramente stati uomini.


Decido di ripartire. Non so se la mia macchina è rotta, se funziona. So solo che me ne devo andare da lì. Parto e vado a venti all’ora, tremante. Dopo poco vedo un orso. “Ma che cazzo è, un film di Walt Disney?”, mi dico disperata. Arrivo ai piedi della collina e decido di chiamare la polizia locale. Dopo tutto, c’era un animale enorme, nel mezzo della strada, che è buia. Avrebbe potuto causare incidenti, pensavo. Ho chiamato e mi ha risposto una donna. Le spiego, mezzo piangendo, cos’era appena successo. “Quindi lei ha lasciato il luogo del delitto?”, mi fa manco fosse Sherlock Holmes. Avevo paura, le rispondo sulla difensiva, come un assassino che si costituisce ma non la dice giusta. Avevo paura, le ho detto, sono una persona che vive in città, non sono abituata a queste cose. “Paura di cosa?”, risponde la stronza. Silenzio. Poi mi passa la capa, the chief, come si dice qui. Un’altra donna. Le racconto tutto a questo punto piangendo. Lei è dolce, mi chiede di fermare la macchina, scendere e vedere se ci sono danni. “La aspetto qui al telefono, signora, vada a vedere”. Esco dalla macchina e osservo il lato destro della macchina. Nella fessura tra la macchina e la portiera di lato, vedo un pezzo di cervo. Urlo, rientro in macchina. “Tutto bene?”, mi chiede la chief, che ha sentito l’urlo. Le spiego. Mi dice di stare tranquilla, che capita abbastanza spesso in questo periodo dell’anno. “So che è molto traumatizzante, ma non ti preoccupare. Adesso andiamo noi a vedere se è vivo o no”.


Sempre a venti all’ora, con il pezzo di cervo attaccato alla portiera, tremando come una foglia, arrivo a casa che sono le otto. D’un tratto sento una cosa strana dentro di me, come se uccidere quel cervo significasse essere odiata da tutta la categoria cervi-cerbiatti e compagnia bella. Come se aspettassero solo di beccarmi per attaccarmi e uccidermi loro, questa volta. Una sensazione tremenda di sensi di colpa per il povero animale, che magari stava andando a cacciare per i suoi bimbi e sua moglie. E poi quegli occhi, che per una frazione di secondo si sono incollati ai miei, e quell’espressione di calma che aveva sul viso. Come se non avesse capito che io lo stavo per tirare sotto, lo stavo per lasciare da solo, coricato su una strada lunghissima tra i boschi, che poi era casa sua, a morire. 



Commenti

  1. Ragazzi che brutta esperienza. Però, per alleggerirle almeno in parte la coscienza, le faccio notare che i cervi nn cacciano, tutt'al più brucano. Magari era pure single, il cervo defunto

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  2. Davvero una brutta esperienza, poi il tuo racconto ha dato proprio l'idea delle sensazioni che hai provato in quei momenti. Spero che a distanza di qualche settimana non sia rimasoto che un brutto ricordo e basta. Sono cose che possono succedere quando si guida.
    Un saluto

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