Tranquillità questa sconosciuta

 





Sono giornate molto difficili per me. Non solo è iniziato dicembre, un mese che quest’anno eviterei a tutti i costi per via della morte di mia madre, ma anche qui a Cambridge si stanno complicando molte cose.

 Luca continua ad avere crisi epilettiche. Gli vengono la mattina presto, verso le quattro o le cinque del mattino. Sono probabilmente dovute anche alla sua insonnia: pare che uno dei trigger dell’epilessia sia proprio la mancanza di sonno. Il dottore gli ha dunque prescritto una medicina per farlo dormire, che non serve a niente. 

 

L’ultima crisi è accaduta due mattine fa. È venuto in camera nostra per farsi accendere l’IPad verso le quattro e poi è andato a coricarsi sul divano del mio studio, la stanza di fianco alla nostra camera da letto. Dan ha sentito il rumore ritmico della convulsione, si è alzato di scatto urlando “Time it!”. Se la crisi dura più di tre minuti, dobbiamo dargli del Valium. Ho subito aperto l’app con il timer e mi sono precipitata anch’io nello studio.

 

Luca era ancora nel mezzo della crisi: gli occhi aperti ma vuoti, il corpo che convulsa, e dopo un minuto emmezzo interminabili, comincia a respirare come se stesse soffocando. Gli metto un cuscino sotto la testa e aspettiamo che finisca anche questa fase orrenda. Poi si gira verso di me e mi sorride. Solo che la parte sinistra della bocca rimane ferma. Noto che anche il braccio sinistro è come paralizzato. 

 

Ictus. È la prima cosa che penso. Sento il sapore del panico nella mia bocca. Sento il battito del mio cuore fermarsi per un attimo. Immagino la vita complicarsi in maniera incredibile da questo momento in poi.

 

Poi invece, dopo qualche minuto, sembra sorridere normalmente. Muove il braccio sinistro. Dan controlla su Google e no, non è un ictus. Si chiama la paralisi di Todd e capita a volte alle persone che stanno avendo una crisi epilettica. È temporanea, dura poco e non ha strascichi. Ricomincio a respirare.

 

Copro Luca con delle coperte perché dopo una crisi si sente sempre molto freddo e mi corico di fianco a lui. Dan torna a dormire. Io rimango lì, con mio figlio ancora mezzo addormentato e con una paura tremenda.

 

Luca ovviamente rimane a casa dal centro, sta in camera sua e praticamente dorme tutto il giorno. Io vado in camera sua a controllare ogni dieci minuti mentre Dan manda un’email al neurologo, il quale risponde quasi subito. Dice di aver trovato un elettroencefalogramma di Luca di anni fa che mostra attività irregolari nella parte destra del cervello, quella che controlla la parte sinistra del corpo e dice di fare una risonanza al più presto per assicurarci che non ci siano delle lesioni che possono causare queste paralisi.

 

E così si ricomincia: le ansie perenni, il terrore che Luca abbia qualcosa di orrendo nel cervello, l’attesa di una possibile diagnosi impensabile. Dopo ventisei anni di Luca, sembra di non avere ancora superato la parte traumatica di lui. Sembra di tornare sempre alla fine della coda. Sembra di non riuscire mai e poi mai a trovare un periodo tranquillo, senza la paura di scoprire malattie, problemi, infinite difficoltà. 

 

Riflettendo, in queste ore ho capito cosa non avremo mai, io e Dan: la tranquillità. La nostra vita è stata e continuerà ad essere ritmata da traumi e anche da profonda solitudine. Non abbiamo davvero nessuno che possa darci una mano, anche solo due ore di libertà. È e sarà sempre tutto sulle nostre spalle. E tra le lacrime mi ricordo di continuare ad essere forte perché anche se io e Dan ci sentiamo soli, non voglio far sentire Luca solo. Ha e avrà sempre me con lui. Lui mi ricorda di ridere e io gli ricordo di baciarmi il più possibile.


(nella foto, Shmoo quando sta bene)

 

 

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