Luca si fa male









Dieci giorni fa, Dan è andato a fare la sua prima vacanza senza la famiglia. Destinazione: Puerto Rico. Compagnia: il nostro caro amico Byrne e un suo amico. Sono anni che cerco di convincere Dan a fare un viaggio da solo. Non perché io sia una brava moglie, s’intende, ma per diminuire i miei sensi di colpa. Vado a Milano da sola almeno tre volte l’anno. Certo, i miei viaggi oltreoceano sono esattamente l’opposto di quello che uno immagina di fare quando va in vacanza, specialmente da un annetto a questa parte: scontri con le sorelle, tristezze per l’assenza della mamma, poco tempo libero. Ma soprattutto, non sono quasi mai da sola, e, come se non bastasse, sono nel bel mezzo della pianura Padana, ben lontano da mari e monti. Insomma, non torno a casa bella riposata, ecco. Ma comunque, è pur sempre un cambio d’aria. 

Tutto questo per dire che, malgrado un retrogusto d’ansia per il fatto che rimanere da sola con Luca potrebbe sempre significare dover affrontare da sola qualche momento di terrore (tipo delle crisi epilettiche), ero felicissima per Dan. Anche lui aveva finalmente un viso sorridente ed entusiasta.

 

A casa è andato tutto bene: sia giovedì che venerdì mi sono svegliata prima del solito per fare la doccia a Luca, aiutarlo a vestirsi, preparargli la colazione e il pranzo da portare e aspettare Conrad, l’autista del pulmino che arriva sempre verso le otto meno un quarto. Fa sempre battute fuori luogo, come se per lui il politically correcteness non esistesse. Per esempio, quella mattina ha fatto un complimento (!) sulle mie ascelle depilate: “Si vede che hai imparato dalle donne americane!”, come a dire che: 1) le donne italiane sono pelose, e 2) che non si depilano. Avanti così. Una volta ascoltate attentamente le opinioni dell’autista, ho bevuto un caffè e portato Emma a scuola. 

 

Tutto come da copione. 

 

Sabato, giornata uggiosa, è stato molto tranquillo: Emma non c’era, e io e Luca siamo sempre rimasti a casa, tranne quando, velocemente, ho dovuto portare i cani alla fine della strada per passeggiate velocissime, massimo sette minuti: lasciare Luca a casa da solo è pericoloso, e quando devo farlo, mi riempio d’ansia. Come ogni volta, sabato pomeriggio, prima di portare i cani per la quinta volta, sono andata in camera di Luca per assicurarmi che stesse bene e gli ho detto che sarei tornata subito. Poi ho risposto a un messaggino della mia cara amica Paula: “Porto fuori i cani e ti chiamo”. Non ci sentivamo da mesi, e sapevo sarebbe stata una telefonata lunga.

 

Dunque, deve essere successo in quei sette minuti di assenza, perché quando sono tornata e ho chiamato la mia amica, non ho sentito nessun suono proveniente dalla camera di Luca, men che meno una caduta dal letto. Fatto sta che parlo fino alle sette, poi vado da Luca e lo trovo che dorme. Cerco di svegliarlo (è troppo presto per andare a letto!), ma non ci riesco. Mi viene il sospetto che abbia avuto una crisi epilettica: quel sonno non è quello normale.

 

Quando si alza, ha un taglio nel mezzo della fronte, non molto grande, ma più profondo di un graffio. La metà della sua fronte è tumefatta. C’è un ematoma nero e rosso con dei capillari rotti, sottocutanei. Deve essere caduto dal letto mentre io portavo i cani, infatti. Primo, perché se fossi stata a casa avrei sentito il ritmo regolare delle convulsioni, e la casa era silenziosa, ma poi perché durante la crisi è certamente caduto a terra e quel tonfo l’avrei sentito. Le crisi epilettiche di cui soffre Luca durano meno di due minuti: tutto il tempo di averne una, riprendersi abbastanza per coricarsi sul letto durante il corto lasso di tempo della mia passeggiata con i cani. (PS: si sente che sto ascoltando il podcast INDAGINI?)

 

Come sempre in tutte le situazioni difficili, mi sono messa a piangere. Ma poi, dopo le lacrime, sono stata presa d’assalto da enormi sensi di colpa: per una volta che sono da sola con Luca, manco mi accorgo che ha una crisi, che è caduto, che si è fatto male. E poi, si deve essere ripreso dalle convulsioni spaventato, senza capire cosa fosse successo, solo con un gran dolore sulla testa. Ci vuole un po’ prima che il cervello si rimetta a funzionare correttamente. Una crisi epilettica equivale allo spegnersi del computer: per riaccenderlo ci vuole un po’ di tempo. E questi minuti li ha passati da solo. Una volta ho letto un articolo scritto da una persona epilettica. Diceva che i minuti in cui si risveglia il cervello sono i spaventosi, perché non ci si rende conto di avere avuto una crisi e si è estremamente impauriti e disorientati. 

 

E io? A fare una seppur breve passeggiata con i cani. 

E io, al ritorno, invece di andare a ricontrollare Luca, mi sono messa al telefono a chiacchierare con la mia amica. 

E io che mai avrei pensato che succedesse una cosa del genere per lo stupidissimo motivo che tutto stava procedendo bene.

 

Lo so, sarebbe successo a tutti. Lo so, seppure io sia sola, devo comunque portare fuori i cani, e Luca è troppo pigro per venire con me, soprattutto quando piove, per cui l’alternativa è di portarli più spesso ma per tragitti molto più brevi. Lo so, anche se avessi sentito, anche se fossi corsa di sopra, si sarebbe comunque fatto male. La mia presenza non funziona come medicina anticonvulsante.  

 

Ma so anche che i sensi di colpa vengono malgrado tutte le razionalizzazioni che si possono fare, malgrado le analisi e i tentativi di scacciarli. Quando arrivano, si piazzano lì e lì rimangono. Non posso far altro che aspettare che si sciolgano.

 

Stamattina Shmoo ha avuto un’altra crisi, ma questa volta l’ho sentito, gli sono stata vicino, e appena si è ripreso, le prime parole che ha pronunciato sono state: “Sweetie, nonna Franca!”. E anche lì, giù lacrime. In qualche modo, però, il fatto di averlo sentito e essergli stata vicino, ha fatto in modo che ‘sti cazzo di sensi di colpa abbiano cominciato a liquefarsi.  

 

Non avrei mai e poi mai pensato che una crisi epilettica di Luca potesse diventare uno strumento di guarigione. È proprio vero che i misteri della vita sono strani.



Commenti

  1. Il mio augurio, cara Marina, è di alzarti sempre in piedi, se pur a fatica, come anche stavolta.

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