Quel diavolo di Becket


 




Come capita ogni tanto, per qualche giorno sono a Becket solo con le mie due cagnone. La zona di Becket in cui abbiamo la casa è un posto magico per me, perché è silenzioso, verde, isolato (a parte una casetta di fronte a noi), è tutto un bosco enorme, con laghetti qua e là. 

 

Si chiama Sherwood Forest e tutte le stradine hanno i nomi dei personaggi di Robin Hood. Per esempio, noi abitiamo in Prince John Drive. Benché faccia parte di Becket, Sherwood Forest è una grande area privata, dove, dietro agi alberi, si intravedono dele casette sparse, abitate per lo più d’estate da cittadini di Boston, come noi e di New York. C’è poi un piccolo negozio sulla collinetta, Sherwood Shoppe, dove una mela costa come un’aragosta, perché, dopo che l’altro negozietto in centro ha chiuso, è l’unico posto vicino dove comprare lo stretto necessario. Se si deve fare la spesa, invece, tocca andare verso Ovest, nel paesino adiacente che si chiama Lee. Lee ha un centro molto pittoresco, con negozietti qua e là. Il mio preferito è l’antique store, gestito da due signore anziane chiacchierone, che ascoltano sempre musica tradizionale irlandese. Lì trovo oggetti anni Quaranta e Cinquanta prettamente americani che amo collezionare.  C’è anche un enorme supermercato. 

 

Lee e gli altri paesini limitrofi assomigliano moltissimo a quelli disegnati da Norman Rockwell, che infatti ha abitato per anni in questa zona. Oltre al grande pittore, abbiamo anche una celebrità mondiale, che vive a Washington, un altro paesino attaccato a Becket. Si tratta niente popò di meno che di James Taylor, che forse abbiamo incontrato una volta in discarica. Dico forse perché ci sono molte persone che gli assomigliano, da queste parti: bianchi, benestanti alti, magri e belli.

 

La nostra casetta è tutta di legno, sia dentro che fuori. Di legno sono le porte, le pareti, il pavimento, le travi dei soffitti e i mobili. C’è soltanto una parete di mattoni a vista, che è dove c’è la stufa a legna. Di sopra, oltre alla nostra camera da letto, ci sono due piccoli loft, dove mi piace andare a scrivere. Fuori, ci sono due grandi pedane, anche loro di legno. Una è attaccata alla porta principale, l’altra, che sembra galleggiare all’inizio del boschetto, ha una panca, due sedie e un tavolino ed è bello sedersi la sera, mentre ascoltiamo la musica e accendiamo il falò. Dietro la casetta c’è un bosco grande e alla fine si intravede il lago, dove Fiona, il mio cane mezzo labrador, ama tuffarsi. 

 

Insomma, Becket è davvero un posto magico e, sebbene sia bello condividerlo con il resto della famiglia, starci da soli è la morte sua.

 

Ieri sera mi sono fatta un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino, che a casa non mangio mai perché a Dan non piace la pasta e no, neanche il riso. Gli spaghetti sono stati accompagnati da un paio di bicchieri di buonissimo Chardonnay della California, che va giù che uno non se ne accorge neanche. Dopo aver fatto la cucina, mi sono guardata l’ultima puntata di Che Tempo Che Fa, altra cosa che non faccio mai quando sono in compagnia di Dan, perché a lui non gliene frega niente. Mentre guardavo la tele, mi sono preparata un Negroni. 

 

Verso mezzanotte, un po’ brilla, ma non troppo, ho portato fuori i cani. Il silenzio del giorno, quando diventa buio, invece che invitante e rilassante, può sembrare un po’ inquietante. In questa zona ci sono orsi, coyote e altri animali che è meglio non incontrare di notte. Rosie, la mia boxerina, può uscire senza guinzaglio perché quando la chiamo ritorna, invece la Fiona, che ha uno spirito libero e se ne fotte se la chiamiamo, deve essere sempre tenuta al guinzaglio. Usciamo e Rosie schizza tra alcuni cespugli ai lati della strada. Comincia ad abbaiare come una pazza, rompendo in mille pezzi il silenzio della notte. Io vengo trainata da Fiona, che curiosa comincia a tirare verso i cespugli. Devo mettermi quasi a correre, intanto chiamo Rosie che continua a far casino. Fiona si ferma di fianco a lei e comincia pure lei ad abbaiare, ad annusare il terreno come se non ci fosse un domani. Io, che sono deficiente, invece di fare dietrofront, mi incuriosisco. Sposto un piccolo ramo, e davanti a me incontro lo sguardo di due occhi rossi, più o meno a un metro di distanza. Probabilmente un animale di stazza grossa. I cani abbaiano, io urlo come una pazza e corriamo tutte e tre in casa, spaventate.

 

Oggi ho pensato: e se fosse stato il diavolo di Sherwood Forest? Magari mi voleva far capire che abita dietro i cespugli, che mica si fa vedere, ma che c’è. Ho anche provato una specie di tenerezza verso di lui, con quei suoi occhi rossi che fanno paura a tutti, così brutto da doversi nascondere, rincorso da cani cittadini che non capiscono nulla di natura e robe varie. Deve sentirsi solo, a volte. Chissà poi cosa aspettava, lì al bordo della strada. Magari un amico, o la fidanzata. Magari invece si era perso. O forse così è la vita dei poveri diavoli. Lo so: mai fidarsi di loro, anche se, a pensarci bene, anche i diavoli hanno un cuore. E comunque sono molto più simpatici di quegli stracciappalle di angioletti che ogni due per tre si mettono a cantare i loro inni di una noia che neanche gli Intillimani.

 

Se lo rivedo stasera, gli lascio una mela da diciannove dollari comprata al Shoppe, ché magari ha solo fame.


(nelle foto, la nostra casetta di Becket)


 

Commenti

  1. Solo per sapere...è ancora viva oppure l'hanno trovata fatta a tocchetti?????

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