Lettera a chi ha comprato la casa della nostra infanzia







Care persone che avete comprato la casa della nostra infanzia,

 

Non vorrei spaventarvi, ma in quella casa ci sono tantissimi spiriti: quelli di noi sorelle da piccole e poi da ragazze e da grandi, quelli dei nostri genitori, dei nonni, degli zii, degli amici. Ci sono tantissimi ricordi, alcuni belli e altri terribili. È stata una casa vissuta, frequentata da cento mila persone, teatro di nottate in cui mi addormentavo sentendo i miei genitori ridere come matti. È anche una casa molto viziata: l’abbiamo amata come se fosse un membro della famiglia. È stata spolverata, pulita, i suoi mobili spostati mille volte; le pareti hanno cambiato colore e tappezzerie; è stato aggiunto parquet, piastrelle; cambiate le finestre; rifatta la cucina. Siamo sempre stati tutti molto orgogliosi di quello spazio grande, accogliente, sempre pulitissimo. 

 

La sala, in particolare, è stata testimone di momenti talmente catastrofici da aver cambiato per sempre la mia vita. Il primo riguarda il giorno in cui, cento anni fa, mia madre ci radunò sui due divani per dirci che papà non c’era più. Eravamo tutte piccole; mia madre aveva il volto distrutto dal dolore e dalla paura di dover continuare da sola. Quattro figlie, pochi soldi in banca e senza lavoro. Ricordo come se fosse ieri che mi scappò una scorreggia proprio nel momento in cui smise di parlare. Una scorreggia che in qualche modo mi salvò momentaneamente da quella situazione terribile, perché mi aiutò a concentrarmi sul mio imbarazzo piuttosto che sul dolore lancinante, che avrei comunque incontrato da lì a poco.

 

Il secondo momento che ha cambiato per sempre la mia vita è accaduto invece attorno al tavolo ovale, un anno e mezzo fa. La mamma era seduta in cucina, sulla sua poltroncina. Stava male, molto male. La dottoressa era arrivata per visitarla e poi ci invitò a seguirla. Ci sedemmo attorno al tavolo e ci annunciò che la mamma stava soffrendo troppo e che, se fossimo state d’accordo, avrebbe iniziato le cure palliative per non farla soffrire più del necessario: “Se fosse mia madre, non esiterei”. Così disse. Provai un dolore incredibile misto con una specie di rassegnazione. Sapevamo che questo momento sarebbe arrivato, e non nego anche una punta di sollievo, mischiata a terribili sensi di colpa. Ma la mamma stava male e nessun dottore avrebbe potuto curarla. 

 

La sala è stata usata moltissimo anche da noi piccole, che facevamo gli spettacolini per i nostri genitori, vestite da hawaiane. Ogni tanto una era la Carrà, l’altra Mina, l’altra ancora la Vanoni. Mamma e papà facevano a turno per andare a ridere in cucina. In sala abbiamo guardato Happy Days, La Famiglia Bradford, Fame, Heidi. Abbiamo ascoltato i nostri dischi mentre si chiacchierava con gli amici. Abbiamo festeggiato ogni Natale, ogni compleanno. Era insomma un po’ come una piazza di paese: ci si incontrava lì per socializzare e fare cose insieme, soprattutto la sera.

 

Poi c’erano le nostre stanze, dove studiavamo e stavamo con le migliori amiche a dirci segreti. Con i fidanzati, invece, era vietato categoricamente stare in camera, soprattutto con la porta chiusa. Le pareti della mia erano tappezzate di poster di Vasco e di John McEnroe, che secondo me era l’uomo più bello del mondo. Avevo anche il poster del giovane soldato in Vietnam che sta cadendo dopo essere stato colpito da una pallottola, e un disegno che a guardarlo sembrava il viso di Freud oppure una donna nuda. Il letto era coordinato con la cassettiera e la scrivania che mi regalò papà quando ero già un po’ grandina: stile marinara con le maniglie dei cassetti di rame. 

 

La camera della mamma è sempre stata chiusa e guai entrare; chi osava sedersi sul letto veniva rimproverata. Era sempre perfettamente in ordine e aveva il suo odore che per me era come Chanel numero cinque, ma più buono perché era il suo. Era confortante; veniva voglia di immergere il naso nei suoi cassetti super organizzati per annusarlo. 

 

La cucina invece era il centro della vita giornaliera: due poltroncine, un bel tavolo, tanto spazio. Era il regno della mamma fino alle 20:30, quando, dopo aver fatto la cucina, andava in sala a vedere Un Posto al Sole.

 

Insomma, care persone che avete comprato la casa della nostra infanzia, avete una bella responsabilità: dovete cercare di convincere i muri e tutto il resto che adesso starà a voi farla vostra. I momenti più importanti sono quelli che si dimenticano: il quotidiano, la routine. La casa imparerà i vostri ritmi come ha imparato i nostri. 

Godetevela, siete fortunati. E una notte, nel silenzio della casa, magari sentirete delle luci accendersi, il frigo aprirsi. Saranno i nostri spiriti, ma non badateci: prima o poi impareremo anche noi a staccarci da lì e andare avanti. 


Nella foto: le piastrelle del bagno

Commenti

  1. Che meraviglia invidio tantissimo chi ora è lì. Tantissimo. Martina Bettinelli

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  2. Ti voglio bene Marina .Vi capisco non e' facile .un bacio enorme a tutte voi❤

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