Finalmente a casa

 






Devo ammettere che venire a Milano mi metteva molta ansia. Certo, la mamma non c’è più da quasi due anni, ma due anni non sono che una briciola di tempo. 

 

La sua casa è ancora così come l’aveva lasciata, più o meno. L’unica assenza è la sua, e non si può ignorare, quando si arriva. L’ultima volta che ero qui, a casa nostra c’erano degli amici delle mie sorelle a cui serviva un posto dove stare in attesa che la loro casa fosse a posto, per cui essere qui era stata un’esperienza molto diversa rispetto a ieri, quando ho aperto la porta e sono stata assalita da due cose: l’immobilità straziante e il silenzio. 

 

Immobilità. Tutto è esattamente come era: il sole scende, poi sale, poi scende ancora cento volte e la casa si illumina e si scurisce senza che nulla venga toccato, spostato. Nessuno si siede sul divano, nessuno si lava i denti, nessuno apre il frigorifero, nessuno si fa un caffè da quando sono andata via io l’ultima volta. Mia sorella e mia zia sono venute in mattinata per farmi il letto, per pulire un pochino la mia camera e per farmi un po’ di spesa e dei vizietti, ma siccome sono arrivata con due ore di ritardo, non sono riuscite ad aspettarmi. Quindi, sono entrata in questo universo immobile e silenzioso che avevo messo in conto, ma una cosa è metterlo in conto e un altro è viverlo. Sono andata dritta in camera di mia mamma, la cui porta rimane sempre chiusa. Il suo odore è ancora lì, uguale, come lo sono le sue fotografie, il suo beauty case, le sue pantofole. La mia camera era perfettamente pulita e in ordine, il mio letto fatto, cosa che ho gradito immensamente. Ancora prima di togliermi lo zainetto, unica cosa con cui sono arrivata, visto che la valigia era rimasta a Monaco, ho fatto tutto il giro della casa. Ci sono alcuni scatoloni qua e là, m per il resto è davvero tutto uguale. 

 

Mi sono seduta poi su una delle poltroncine della cucina, ma non quella in cui si sedeva sempre la mamma: quella di fronte, dove mi sarei seduta io se lei fosse stata qui ad aspettarmi. Ho acceso una sigaretta, e in silenzio mi sono immaginata la conversazione che ci sarebbe stata tra noi due. Avrebbe detto di chiamare mia zia Milena, che abita a cento metri; di chiamare mia zia, Pupa, per avvisarle del mio arrivo. Cosa che ho fatto dopo aver spento la sigaretta nel portacenere di sempre. Milena è arrivata quasi subito, riempiendo il vuoto immenso della casa. Poco dopo è arrivato anche Paolo, mio cugino e poi Anna, mia sorella. Malgrado la mia stanchezza infinita, la casa sorrideva, felice che qualcuno le tenesse compagnia. I muri, le fotografie, i tappeti, gli interruttori della luce finalmente si sentivano ancora utili.

 

Poi quando se ne sono andati via tutti, ho avuto il terrore che lo spirito di mia mamma si facesse vivo. Lo diceva sempre, che in questa casa c’è lo spirito di papà, e se c’è il suo, che è morto quarant’anni fa, figurati se non c’è quello della mamma. Le ho chiesto di fare le sue cose in silenzio, come succedeva quando io dormivo, perché mi sarei spaventata moltissimo. Poi ho preso la mia pastiglietta per dormire, e alle nove e venti ho spento la luce. 


Mi sono svegliata, disorientata e rincoglionita di sonno, verso le quattro del mattino. Dovevo far pipì, ma avevo paura di vedere o sentire qualcosa o qualcuno, ma poi la vescica ha deciso: Mari, vai che qui non so quanto io possa reggere. Non ho acceso nessuna luce, e per un secondo mi sono detta: non tiro l’acqua che poi la sveglio… e invece l’ho tirata e non si è svegliato nessuno.

 

Stamattina mi sono fatta la colazione, ho chiacchierato con le sorelle e finalmente su di me è calata la sensazione stupenda di essere proprio a casa, una certezza che provo soltanto quando sono tra queste mura. Come quando non si trova l'ultimo pezzo per finire il puzzle, e poi ti accorgi di essere tu: ti ci appoggi e tutto combacia alla perfezione. Un senso di appartenenza a qualcosa, a qualcuno; un mondo in cui non sono “la straniera”, “quella che si deve abituare a fare e dire così e cosà”, quella che “Ah già che sei italiana…”. 

 

Sembra una sciocchezza, ma alla fine è la sensazione più forte e importante di tutte.

 

 

Commenti

  1. Grazie per il suo blog gentile Marina. Non perdo mai un articolo. Le auguro una buona serata e tanto coraggio. Un’italiana all’estero come lei

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