È un abbandono o un cambiamento?


 





Ci sono voluti quasi quattro anni prima di trovare una casa-famiglia per Luca. Negli Stati Uniti è normalissimo che i figli se ne vadano di casa verso i diciotto anni, quando iniziano l’università. Le persone neuro divergenti, invece, rimangono con i genitori fino ai ventidue anni, quando il distretto scolastico smette di offrire finanziamenti per scuole e servizi e comincia a offrire finanziamenti per una vita indipendente. 

Il mese prossimo, Luca ne fa ventisette, di anni. È ora che anche lui inizi a vivere senza di noi. Il Covid ha rallentato molto il lungo e complesso percorso per ottenere una camera da letto. Non è comunque stato tempo perso, perché ci è servito per abituarci all’idea che altre persone si occuperanno di lui. Persone che non conosciamo e di cui possiamo solo fidarci a priori. Non solo: dobbiamo spiegare a una persona come Luca che andrà a vivere da un’altra parte, con persone che non conosce, ma che non lo abbandoniamo: lo facciamo perché così lui potrà imparare a stare senza di noi. Questo è un discorso molto complesso, che riguarda, tra l’altro, la considerazione di un futuro in cui noi non ci saremo più. Una cosa è certa: sarà spaventato, confuso, triste perché chissà cosa riesce a capire di quello che gli diciamo, e anche se capisce, non riesce comunque a farci delle domande che sicuramente avrebbe da porci.

 

La casa-famiglia che abbiamo scelto è a un’ora da Cambridge, in un paesino di campagna, vicino però a una cittadina. Ha quattro camere da letto, tre delle quali sono occupate da giovani uomini (tutti maschi) con le stesse difficoltà di Luca. Ci sono due bagni, una cucina, una sala da pranzo e una salone spaziosi, un terrazzo con un tavolo dove spesso mangiano. Ci sono due stanze per il bucato, con lavatrice e asciugatrice. C’è un grande prato verde e un giardinetto per chi vuole andarci a giocare. 

 

La mattina si preparano per andare ai loro centri diurni e ritornano verso le quattro. Ad aspettarli, ci sono due operatori, che li aiutano e fanno loro compagnia. Spesso vanno a fare delle passeggiate, o a mangiare il gelato, o a fare la spesa. Gli inquilini aiutano, ognuno come può, ad organizzare la cena, ma sono liberi d starsene in camera loro, se preferiscono. Di notte, c’è il cambio di personale, e due persone rimangono sveglie sempre per assistere chi ha bisogno di qualcosa. Per Luca, che sembra essere meno indipendente degli altri, verrà assunta una persona in più durante il giorno, che lo aiuterà a fare la doccia e a prepararsi per la giornata. Si prenderà cura di lui e lo aiuterà durante la fase difficile della transizione. Cercherà anche di individuare in quali aspetti quotidiani potrebbe migliorare e lavorerà con la terapista ABA, che fa parte dello staff.

 

Sono riuscita a parlare con la mamma di uno degli inquilini che mi ha detto: “Ancora non lo sai, ma hai trovato il paradiso! Sono tutti estremamente qualificati, e la coordinatrice, che ha due figli a casa (uno dei quali autistico) è talmente affezionata a tutti che li ritiene la sua seconda famiglia". Insomma, mi sembra tutto molto bello.

 

Benché sarà un’esperienza certamente importante per Luca, non posso negare che ventisette anni di lui mi hanno stancata molto e, malgrado l’ovvietà dei magoni e del terrore, c’è una vocina che mi continua a dire che oltre al continuo sostentamento di Luca, c’è altro da fare. Mi chiedo per esempio, come si trasformerà il mio rapporto di coppia, che per tutti questi anni è diventato un team specializzato in autismo a basso funzionamento e poco ha fatto attenzione a come andare avanti, crescere, migliorarsi. Come ci comporteremo l’una con l’altro quando avremo tutto il tempo a nostra disposizione per essere liberi?  Spesso ho sentito parlare del disagio che prova chi esce dal carcere dopo tanti anni: la fatica che si fa per rientrare in una società, con i rapporti sociali, la libertà a cui non si è più abituati. Sarà un po’ così anche per noi. Perché se è vero che l’autismo ci ha insegnato e arricchiti molto, è anche vero che ci ha deprivato di moltissimo.

 

Sono appena tornata da Milano, dove ho fatto la mia parte nello svuotare la casa di mia mamma prima che i nuovi inquilini ne prenderanno possesso. Non è stato facile: ho vissuto questa esperienza come un abbandono, non solo dalle mura della casa, ma di una famiglia, la mia, che si è trasformata in maniera tale da non sembrare più lei. Senza i genitori e senza il contenitore che ci teneva tutti uniti è diventata un’altra realtà a cui mi devo abituare. Anche il trasferimento di Luca, seppure su scala più piccola, rappresenterà una specie di abbandono da una situazione famigliare che pareva ovvia, stabile, infinita.

 

In questi due anni, dopo la morte di mia madre, ho imparato una cosa da grandi: la vita non rimane sempre uguale: cambiano gli scenari, le situazioni, i posti dove stare e di conseguenza cambiamo anche noi. Per quanto difficile, credo che sarebbe molto noioso pensare che certe cose rimangano per sempre così, anche se i cambiamenti spesso arrivano con una grossa dose di dolore. 

 

Non è che magari il dolore sia necessario? Non è che forse dovremmo accettarlo con meno timore, meno ansia? Ah, saperlo!

 



(Nella foto, Luca sull'altalena del salotto della casa-famiglia)

Commenti

  1. Cara Marina, ho letto le tue riflessioni con grande interesse - e con il cuore pieno! E' uno di quegli spartiacque della vita: momenti di dolore e di nuovi orizzonti per il futuro. .Ti sono vicina con tanto affetto - coraggio! Vittoria

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  2. La chiusa del tuo post, che può sembrare ovvia ai più, è un messaggio di speranza a chi grande non si sente mai abbastanza. Grazie come sempre per le tue parole.

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  3. Cara Marina
    Emily Dickinson ha scritto "a un cuore infranto nessuno si avvicini se non ha il privilegio di aver sofferto altrettanto ".Te lo dico perché mi sono trovata in una situazione simile .
    Se il tuo Luca si troverà bene e lo vedrai sereno hai tutto il diritto di riprenderti in mano la tua vita .
    Un forte abbraccio

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