Lettera aperta a Michele Serra

                                                      Becket, Ma. 3 Settembre, 2024



Carissimo Michele Serra,

Le scrivo da un piccolo paesino a ovest del Massachusetts, dove io e mio marito, che abitiamo a Boston, abbiamo una casetta tra i boschi. Il motivo di questa lettera è che oggi mi è toccato di tagliare l’erba e senza nessun motivo apparente, mi è venuto in mente Lei. (adesso però ci diamo del tu, va bene?).

Purché non apparente, un motivo c’è: la mia famiglia frequenta la Val Tidone dagli anni Settanta e so che tu ci vivi. So anche che, oltre a scrivere, lavori tantissimo tra i campi, e questa combinazione di forza fisica e forza intellettuale mi ha sempre affascinato, perché secondo me sono molto legate tra loro.

Negli anni Settanta i miei genitori affittarono una canonica a Pieve di Stadera, dopo che un amico avvocato del Soccorso Rosso gliela propose. Furono quattro anni (solo quattro, poi fummo cacciati per paura che fossimo terroristi rossi) strepitosi per me, le mie sorelle e i miei due cugini. Imparammo un sacco di cose dalla famiglia contadina che abitava di fronte a noi. Il signor Renzo si occupava dei terreni attorno alla canonica, e noi rimanemmo affascinati da trattori, mietitrebbie e balle di fieno. A circa due chilometri, c’è il downtown di Stadera, dove si trova la trattoria dal Pirò, che allora faceva anche da: osteria, SIP (aveva una di quelle cabine telefoniche che quando chiudevi la porta non sentivi nessun rumore), macelleria, luogo in cui vedere le partite di calcio, luogo di incontro per i sette (noi eravamo in cinque) ragazzini del paese, diventati otto quando misero il flipper. 

Vicino alla trattoria abitava la signora Mariuccia, anche lei contadina, che ogni giorno si faceva questi due chilometri per andare a pulire la chiesetta attaccata alla canonica, dove la domenica don Dino (che allora non capivamo, ma era sempre ubriaco) ci faceva suonare le campane. Anni dopo io, atea e Dan, ebreo, ci sposammo proprio in quella chiesetta e per la signora Mariuccia fu un giorno speciale: decorò la chiesa che sembrava un giardino botanico e ci cantò l'Ave Maria! Un pomeriggio che noi bambini stavamo facendo merenda, mio padre ci beccò che buttavamo via un biscotto. “Ma come vi permettete! Non vedete la signora Mariuccia farsi un mazzo tanto per raccogliere il fieno per fare la farina? Adesso andate di corsa chiederle scusa!”. Un po’ spaventati perché se c’era uno che non si arrabbiava mai era mio padre,  noi cinque ci incamminammo verso il centro, bussammo e chiedemmo scusa, lasciando la signora Mariuccia un po’ perplessa. Ancora adesso, sia una mia sorella che i miei zii hanno casa a Stadera, dove passano i fine settimana. 

Ecco perché, dunque, mi sei venuto in mente mentre tagliavo l’erba. Poi mi sono venute in mente due domande da farti, ed è per questo che ti scrivo. Mi sono chiesta se anche tu, come ho fatto io stamattina, mentre fai un lavoro impegnativo fisicamente, riempi la tua mente con idee, proposte di lavoro, magari su come impostare un articolo. Certo, io non sono Michele Serra, ma mi pago le sigarette scrivendo (non posso permettermi altro, ma non mi lamento) e mi capita di pensare a progetti o racconti anche quando passo il battitappeto o faccio il bucato, per non sprecare il tempo a “non lavorare”. Quando taglio l’erba mi sbizzarrirsco: arrivo a pensare di romanzi da scrivere, operette, film, sceneggiature teatrali. Insomma, mi lascio andare.

La seconda domanda è questa: ti è mai capitato di potare? Se sì, credi che questa sia la stagione giusta? Ho un grosso cespuglio che fa fiori gialli bellissimi, ma ho notato che è tutto spettinato e avrebbe bisogno di tagliare alcuni rami qua e là. Come noterai dalle domande, ho sempre vissuto in città, e poco mi sono occupata di potature, giardinaggio e tosatura d’erba.

PS: decespugliatore: sì o no?

Ti ringrazio se hai letto la mia lettera, ma anche se non l’hai letta: chiederò consigli a qualcun altro.

Un abbraccio,

Marina Viola


Nella foto: la mia amaca, per farti sentire più a tuo agio.


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